Il Programma nazionale di Riforma, contenuto nel Def, il Documento di economia e finanza, è in arrivo e il Governo si prepara a intitolarlo “Un’agenda per la crescita”. Certamente, la crescita dipenderà dalle risorse che potranno essere stanziate a tale scopo attraverso la prossima Legge di stabilità. E in questo momento, stando anche alle dichiarazioni del viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, sembra che il taglio del cuneo fiscale sia messo in alternativa a quello del previsto aumento dell’Iva dal 1° ottobre e per tutto il 2014. «Anziché destinare i 4 miliardi a disposizione nella legge di stabilità per una parziale riduzione del cuneo fiscale, sarebbe molto più utile utilizzarli per il rilancio di infrastrutture, banda larga e copertura wi-fi». A esserne certo è Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, secondo cui «il costo del sistema pensionistico e della cassa integrazione è in sbilancio con un deficit pari al 5/6% rispetto al Pil. Invece di ridurre la tassazione sul lavoro, occorre quindi aumentare la produttività».
Professor Forte, cosa pensa di quanto ha detto Fassina?
Nelle sue parole, la contrapposizione tra riduzione dell’Imu e mancato aumento dell’Iva, si è spostata ora sulla questione del cuneo fiscale. Si tratta però soltanto di un’invenzione, nel senso che la riduzione del cuneo fiscale per 4 miliardi di euro è mal posta. Il cuneo fiscale dovrebbe cioè diventare una priorità del governo soltanto in relazione alla modifica dei contratti di lavoro.
Una sorta di “do ut des”?
Senza una maggiore flessibilità, non ha alcun senso la tesi di Confindustria e Cgil secondo cui si riduce il cuneo fiscale chiedendo al governo di fare qualcosa e in cambio non si dà nulla. Nella politica dei redditi dell’epoca di Vanoni, La Malfa e del centrosinistra, cioè ogni qualvolta i sindacati hanno ragionato insieme al governo e a Confindustria, si sono sempre chieste determinate misure al consiglio dei ministri in cambio di un comportamento degli imprenditori teso a favorire la crescita.
Che cosa potrebbero mettere sul piatto Cgil e Confindustria in cambio di un taglio del cuneo fiscale?
Accanto a una politica fiscale, tributaria e della spesa, ci dovrebbe essere una politica dei redditi. Non ha senso pensare che si possa gestire la crescita senza unire le varie forze. Poiché l’Italia non ha ancora realizzato lo sviluppo della produttività, è assurdo rimediare a questa mancanza tramite la riduzione del cuneo fiscale.
In che modo si può concretamente favorire l’incremento della produttività?
Con 4 miliardi a disposizione, sarebbe molto più serio dedicarli al rilancio delle infrastrutture perché l’Italia è carente anche in questo campo. Basta vedere la differenza tra la rete stradale, autostradale e ferroviaria italiana e quella francese o tedesca. Oppure la differenza nello sviluppo tecnologico che si potrebbe attuare mediante gli investimenti nella banda larga o altre infrastrutture a elevato contenuto tecnologico. Non si capisce quindi questa idea neoliberista della sinistra e della Cgil, se non in termini corporativi.
In che senso parla di interessi corporativi difesi da sinistra e Cgil?
Nel senso che sinistra e Cgil vogliono continuare a tutelare lo stesso tipo di posto fisso poco produttivo, si rifiutano di impegnarsi a lavorare secondo il modello di Marchionne e nello stesso tempo chiedono allo Stato uno sgravio fiscale. Il problema è infatti che in Italia gli oneri fiscali sul costo del lavoro non coprono le spese sociali che lo riguardano.
Può quantificare questa mancata copertura?
Il costo del sistema pensionistico e della cassa integrazione è in sbilancio con un deficit pari al 5/6% rispetto al Pil. Sbagliano quindi quanti affermano che l’Italia lpelevato cuneo fiscale sarebbe un’anomalia. Alesina, Giavazzi e altri bocconiani suggeriscono di tagliare drasticamente lo stato del benessere. Ma basterebbe più semplicemente pensare alle casse integrazione in deroga che vanno a chi non ne avrebbe strettamente bisogno.
In definitiva lei che cosa propone?
Poiché smantellare il nostro stato del benessere è irrealistico e la riforma delle pensioni ormai si è fatta, anche se c’è ancora il problema degli esodati, prima di pensare di ridurre i carichi fiscali occorre attuare una politica di sviluppo della produttività. Occorrerà quindi mettere in atto prima la riforma del mercato del lavoro, e quindi attuare degli sforzi, con riguardo a recuperi di esoneri fiscali, per ridurre alcuni costi del lavoro. Resta il fatto che il sistema pensionistico, con il peso del passato, rimane sbilanciato.
(Pietro Vernizzi)