Un piano in due fasi per rilanciare il settore produttivo e attirare gli investimenti stranieri in Italia. La fase uno deve essere rappresentata da misure temporanee di sostegno all’occupazione, sul modello di quelle adottate nel 2009 e 2010 dalla Germania. La fase due deve essere composta da una riduzione permanente della tassazione sulle imprese. A proporre questo programma è Alfred Steinherr, professore di Economia all’Università di Bolzano. Per l’esperto, «i pacchetti di sgravi fiscali temporanei messi in atto da Portogallo, Spagna e Irlanda, non sono sufficienti per attirare in modo permanente i capitali stranieri, in quanto questi ultimi una volta terminate le agevolazioni tornano altrove».



Professor Steinherr, mentre in Italia si pensa a come attirare i capitali stranieri, gli altri paesi periferici e alle prese con la crisi, Portogallo, Spagna e Irlanda, hanno messo in campo degli sgravi fiscali. Lei ritiene che siano un modello da imitare?

Non credo che questo modello possa produrre effetti duraturi. Stimolare gli investimenti con misure particolari di sgravi fiscali, agevolazioni e sovvenzioni non offre una base di produttività permanente. C’è investimento perché c’è un trattamento favorevole, che però prima o poi scadrà.



Insomma, l’effetto benefico per l’economia nazionale è limitato nel tempo?

Sì, si attraggono capitali nel breve termine, ma in realtà non credo che una decisione fondamentale come investire in modo permanente si faccia soltanto perché ci sono dei vantaggi temporanei. La produttività nei paesi Pigs è aumentata in quanto nella fase di recessione una parte della struttura produttiva è stata chiusa, e normalmente si trattava degli stabilimenti più deboli. Ciò è normale in una recessione.

In che modo è possibile stimolare gli investimenti?

La stimolazione avviene normalmente attraverso una politica economica fondamentale e strutturale, in grado di dare fiducia agli investitori. Non quindi con misure temporanee come le sovvenzioni, le quali da che mondo è mondo sono state un fattore permanente della politica economica. Ciò che è necessario, tanto all’Italia quanto a Spagna, Irlanda e Portogallo, è una struttura durevole e permanente, con misure che creino fiducia a lungo termine. In Italia, per esempio, il peso delle tasse è così importante che una parte significativa degli imprenditori cerca dei sotterfugi per non pagarle, mentre una pressione più ridotta agevolerebbe gli investimenti esteri.



Il modello da seguire, più che quello dei Pigs, è quello delle riforme strutturali tedesche?

Nel 2009-2010 la produzione in Germania ha attraversato una fase molto difficile. Il governo di Berlino ha dunque pagato una parte dello stipendio agli operai che normalmente non sarebbero più stati necessari. In questo modo le imprese sono state incentivate a non licenziare i dipendenti e a mantenerli con livelli di produttività molto deboli.

 

Quali sono stati gli effetti?

Si è trattato di un modello che ha funzionato bene innanzitutto per ragioni temporali. L’idea era che si trattava di una crisi di breve termine, e che per un anno o due lo Stato sarebbe riuscito a sostenere l’occupazione. Ciò su cui lo Stato ha deciso di intervenire non è stato quindi un livello di investimenti troppo basso nel breve termine, ma nel sostenere l’occupazione in modo che quando il periodo di “vacche magre” fosse passato le strutture produttive fossero ancora in piedi come prima. In Germania gli incentivi per chi investe sono stati al contrario molto limitati, e la stessa economia tedesca ha tuttora un livello d’investimento interno più basso rispetto agli altri Paesi.

 

In che modo in Italia è possibile rilanciare la produttività in modo strutturale?

La produttività non si rilancia con misure limitate e nell’arco di poche settimane. Ciò che occorre è un programma a lungo termine, che comprenda un’educazione della forza operativa, una ricerca più utile per la produzione industriale e infrastrutture più efficienti. E non dobbiamo dimenticarci del fatto che l’Italia è il Paese Ue con la percentuale più bassa di ingegneri in rapporto alla popolazione. Occorrono quindi politiche di lungo termine, le quali rendano possibile un tasso d’innovazione più importante, prodotti più moderni e metodi di produzione più efficienti.

 

(Pietro Vernizzi)