Boris Johnson, pirotecnico sindaco di Londra, intervenendo davanti agli investitori internazionali riunito alla City ha affermato mercoledì che “la Gran Bretagna sta vivendo il suo Concordia momentum”. Ovvero la Britannia (da non confondersi con la nave omonima ove si tenne la conferenza sulle privatizzazioni del governo Ciampi, anfitrione Mario Draghi, all’inizio degli anni Novanta) è tornata sulla linea di galleggiamento. Il giorno prima, a Tokyo, era stato il premier Shinzo Abe a elettrizzare i grandi investitori internazionali: i progetti del Sol Levante in vista dell’appuntamento olimpico del 2020 hanno suscitato grande apprezzamento. Soprattutto perché si inquadrano perfettamente nel programma elettorale del premier: l’apertura del Giappone agli investimenti stranieri è uno dei pilastri per accelerare la trasformazione del sistema, dalla finanza al mercato del lavoro.
Gli esempi, virtuosi o meno, potrebbero continuare. Alcune settimane fa abbiamo parlato del caso greco, ovvero della proposta/provocazione allo studio a Bruxelles per trasferire in un fondo, guidato da strutture comunitarie, le proprietà che il governo greco intende privatizzare senza riuscirci. Un tema che senz’altro tornerà d’attualità dopo le elezioni tedesche. È assai difficile infatti che il nuovo esecutivo di Berlino, sia che venga riconfermata l’attuale alleanza (grazie a un robusto sostegno della Cdu/Csu agli alleati liberali), sia che prenda forma una nuova Grosse Koalition con i socialdemocratici possa inaugurare la stagione di governo con un nuovo aiuto ad Atene senza porre condizioni precise.
È questa la cornice esterna in cui il governo Letta gioca la carta di Destinazione Italia: i concorrenti non mancano. Quasi tutti possono offrire più garanzie del Bel Paese in materia di fiducia e di credibilità. Per tornare al caso Concordia, l’Italia ha sì dimostrato, con il recupero della nave, di poter affrontare e vincere sfide che sono alla portata di pochi paesi, tecnologicamente avanzati. Ma, invece di staccare un dividendo di credibilità, la classe dirigente sta offrendo nuove prestazioni imbarazzanti. Nessuno si era posto il problema di attrezzare un porto per far fronte all’ingresso della Concordia. Il bacino italiano più profondo, dicono gli esperti, è di 9 metri contro i 20 richiesti. Ma in quest’ultimo anno, invece di scegliere una destinazione e lavorare, si è lasciata la questione “in sonno”: la Toscana ha ottenuto uno stanziamento per Piombino, ma non è si è mossa una sola ruspa. E così, dicono gli esperti, non si farà in tempo a ospitare la nave in primavera. Altri reclamano la ghiotta dote di lavori (e di posti di lavoro), ma senza muovere un dito. Insomma, alla fine si escogiterà qualcosa, ma il grosso della commessa (come i rifiuti in arrivo dalla Campania) andrà a qualche gestore europeo più previdente e attrezzato.
Finirà così? Speriamo che i fatti smentiscano questa previsione. Sarebbe, finalmente una buona notizia. Nel frattempo, Enrico Letta parte, per lanciare Destinazione Italia, alla volta degli Usa a fine settembre con pochi argomenti, rispetto alla concorrenza inglese e giapponese. Sul piano macro, l’Italia continua a sfornare statistiche deludenti: il Pil, secondo S&P’s arretra dell’1,9%; per l’anno prossimo il rapporto debito/Pil salirà al 132,5%; sul fronte bancario, secondo i conteggi di autorità indipendenti, c’è la necessità di iniettare almeno 30 miliardi di euro nelle casse del sistema, indispensabili per trasformare le banche da zavorra insidiata dalla marea delle sofferenze a motore della crescita.
Non va meglio sul piano dell’attività micro. Sarà un’impresa da titani convincere gli investitori istituzionali superando lo shock del caso Ilva: in quale altro Paese del mondo non si distingue la responsabilità penale eventuale dei proprietari dalla bonifica ambientale che richiede risorse e possibilità di lavoro? E le partite in corso, da Telecom Italia ad Alitalia, sembrano fatte apposta per complicare il ruolo del Premier.
Eppure, oggi più che mai, occorre tifare Italia. Purtroppo, anche stavolta non si è sfuggiti alla tentazione di mettere tanta, troppa carne al fuoco: più che un disegno di legge per offrire agli investitori una corsia privilegiata per sfuggire alle tagliole di casa nostra, Destinazione Italia sembra un progetto di governo destinato a durare una legislatura: l’iter è opposto alla road map di Shinzo Abe. Lì si è prima studiata una ricetta economica, poi la si è sottoposta all’esame dell’elettorato. Infine, il programma, diviso in tanti capitoli è passato alla fase dell’esecuzione. In Italia, prima del voto, sono stati sfornati programmi e ricette buoni per tutti gli usi e consumi con la ferrea convinzione che non avrebbero inciso più di tanto su equilibri politici che si giocano su altre questioni e altri tavoli. Poi si tenta, al contrario di quel che avviene nel resto del mondo, di passar dal particolare al generale (ovvero da una legge per gli investimenti esteri a una ricetta di politica economica complessiva), e non viceversa.
Altrove si fanno le riforme sul lavoro, poi le si applica in casi particolari (vedi minijob). Da noi si parte dall’Expo, dal turismo o da un provvedimento per allettare gli investitori del Qatar o di Wall Street, per poi arrivare a regole generali senza turbare la serenità dei vari partecipanti ai talk show e le loro reboanti promesse. È un po’ come camminare con i piedi per aria. Ma chissà. L’Italia è un Paese di acrobati: forse Letta e Saccomanni riusciranno a superare illesi la prova del triplo salto mortale. Lo speriamo.