Anche il Rapporto dell’Ue constata ciò che sappiamo: l’Italia è un Paese in via di deindustrializzazione. Perché? La cause sono note. Costo del lavoro elevato, burocrazia eccessiva, giustizia lenta, infrastrutture inadeguate, promozione insufficiente, ecc. Ma quello che è più grave è che non sono state messe in atto misure per contrastare questa deriva, considerando che la colonna portante dell’industria italiana è quella piccola e media.
Vediamo che cosa non è stato fatto. Un Paese è tanto industriale quanto più “consuma” beni e tecnologie strumentali, vale a dire macchine e sistemi di produzione ad alta tecnologia per la costruzione di beni di consumo. Sono dunque le macchine utensili per la lavorazione dei metalli, della plastica, del legno, per le fonderie il cuore e il tesoro più prezioso dell’industria. Dimmi quante macchine utensili consumi e ti dirò il livello di industrializzazione di un Paese. Ebbene l’Italia ne consuma sempre di meno.
Nella recente Assemblea di Federmacchine, che raggruppa le dodici Associazioni di categoria dei beni strumentali, si è rimarcato che il mercato italiano assorbe mediamente solo poco più del 20% della produzione italiana di questi settori e l’import è parimenti ristagnante. Troppo poco. Questo significa in particolare che il parco produttivo sta diventando obsoleto e non riesce così a far fronte alla concorrenza internazionale sia per la qualità dei prodotti che per capacità produttiva e la competitività prezzi.
Era ed è ancora di più necessario essere attenti a questi settori e offrire agevolazioni di ogni tipo per il riammodernamento del parco produttivo delle nostre imprese. Non si trattava di inventare niente. Si trattava solamente di riproporre tempestivamente lo schema della Legge Sabatini che ebbe una fondamentale funzione per i successi industriali, economici e sociali italiani degli anni ’60. Invece questo intervento, contenuto nel decreto del Fare, è tardivo e ne è preannunciata l’applicazione solo a partire dal 2014, tra l’altro con modalità ancora troppo complesse e farraginose. Si trattava di concedere alle aziende che installavano nuovi macchinari con nuove e competitive tecnologie, la libertà dei tempi di ammortamento. Non c’è traccia da nessuna parte.
Dunque nulla di inimmaginabile. Si è ancora in tempo per risalire la china della deindustrializzazione, ma ci vuole la volontà di comprenderne l’urgenza e l’efficacia. Purtroppo in modo sconsolato bisogna prendere atto con rammarico che, fino a questo momento, questo Governo non è stato in grado di fare compiutamente quanto è necessario per il rilancio della industria italiana.