Il presidente del consiglio, Enrico Letta è stato in tour all’estero per convincere gli investitori internazionali a scommettere sull’Italia. Mercoledì il premier italiano ha visitato il New York Stock Exchange di Wall Street, sottolineando che “la gente guarda dall’estero all’Italia in maniera positiva. Stiamo lavorando, stiamo mettendo cose in cantiere, stiamo facendo riforme che ho visto che sono state apprezzate soprattutto per la concretezza”. Intanto però da diverse parti sono stati espressi timori per quanto riguarda il passaggio di Telecom Italia, finita nelle mani della spagnola Telefonica, e la scalata, ancora da confermare, di Air France nei confronti di Alitalia. Per il giornalista economico Oscar Giannino, «la vera contraddizione del sistema italiano è il meccanismo di scatole cinesi che governa le grandi società come Telecom e Alitalia, impedendo loro di rispondere a veri criteri di mercato e di fatto indebolendole. Se davvero vogliamo attrarre capitali stranieri è a questo livello che dobbiamo cercare di intervenire».
Letta chiede agli investitori stranieri di venire nel Bel Paese mentre due grandi società italiane sono pronte a passare in mani estere e qualcuno parla di “svendite”. È il segno di una contraddizione?
È il segno di un’evidente contraddizione, che non è tanto e solo di Letta, quanto purtroppo dell’intero sistema Italia. Si tratta di un problema che attraversa trasversalmente la maggior parte dello schieramento politico. Se guardiamo le interviste di mercoledì di esponenti politici dalla destra alla sinistra, come il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, e l’onorevole del Pd, Yoram Gutgeld, emerge la stessa preoccupazione per le operazioni in corso a Telecom e Alitalia. Letta si trova giustamente a tentare di attirare capitale straniero in Italia, ma poi l’Italia intera diffida profondamente degli investitori internazionali. La contraddizione più grande però è un’altra…
E sarebbe?
Per attirare realmente dei capitali in Italia occorre offrire vere regole di mercato. Sia nel caso di Alitalia, sia nel caso di Telecom Italia nella realtà dei fatti vengono al pettine e implodono due grandi società il cui controllo è stato sempre consentito con regole non di mercato. Gli investitori stranieri sono al corrente di ciò che avviene in Italia.
A che cosa si riferisce in particolare?
Ai meccanismi di controllo delle società che non passano per il mercato e ai premi al controllo mai distribuiti agli azionisti di minoranza e poi bruciati perché non li si sanno gestire. Ma soprattutto, alle banche che non scelgono manager con obiettivi davvero di mercato, tanto che questi ultimi sono poi costretti a veleggiare sia pure in presenza di debiti molto rilevanti. Tanto per Telecom quanto per Alitalia, la presenza di debiti avrebbe chiaramente dovuto obbligare a scelte diverse, ma sono le stesse banche a mettere manager di questo tipo che pensano solo a rientrare dalle loro esposizioni.
Può spiegare meglio in che senso l’Italia non offrirebbe vere regole di mercato?
Se un’azienda non è gestita con scatole cinesi, come è sempre successo per esempio nei confronti di Telecom privatizzata, i manager devono rispondere a una pressione molto forte da parte degli azionisti. Questi ultimi si rendono conto trimestre per trimestre che l’azienda sta perdendo utili, margini di mercato e fatturato, oppure non riesce a ricondurre il debito a grandezze sostenibili rispetto ai suoi flussi di cassa. Senza scatole cinesi il manager è costretto a prendere delle decisioni.
Che cosa accade invece con le scatole cinesi?
Quando le aziende sono controllate dalle cosiddette scatole cinesi, il manager sa che deve rispondere soltanto a queste ultime. Lo documenta il fatto che il 70% delle quote Telecom appartenenti ad azionisti minori non hanno vera voce in capitolo e ciò porta a rinviare tutte le decisioni importanti.
Insomma, Telecom è stata indebolita proprio da questa mancanza di trasparenza?
Telecom si trova da anni in questa situazione, che ha comportato una perdita graduale di fette di mercato e di utili. Nel frattempo il debito della compagnia italiana non è sceso perché per farlo sarebbe stato necessario cedere le partecipazioni brasiliane o argentine, cioè tutto ciò che restava all’estero. In alternativa occorreva pensare a uno spin-off della rete fissa offrendola ai concorrenti. Ciò che bisognava compiere era una compartecipazione con investimenti anche dei concorrenti a un progetto diverso di investimenti, visto che la somma di quello che ciascuno fa separatamente e in concorrenza non era sufficiente.
(Pietro Vernizzi)