Dal 1961 la Matera Imballaggi si occupa di riciclaggio e vendita di pallet, coniugando sviluppo tecnologico e “artigianalità”. Nello stabilimento di via San Dionigi, alle porte di Milano, i materiali vengono selezionati con cura per mantenere gli standard qualitativi richiesti dall’Unione Europea e dalle associazioni di categoria a cui è consorziata (Federlegno, Conip, Qualipal, ecc). Nel 1999 Qualipal ha premiato il suo impegno annoverandola tra i riparatori omologati EPAL. Tra i suoi principali clienti, oltre a centri commerciali, iper e supermercati figurano anche tante piccole e medie imprese che della Matera apprezzano il rapporto qualità-prezzo-prestazione. Per Nicola Semeraro, titolare dell’impresa, occorrono però “regole certe per tutelare le centinaia di milioni di movimenti l’anno effettuate in Italia solamente nel largo consumo, che generano centinaia di milioni di euro di fatturato”. Come? “Utilizzando tecnologie come l’RFID per far in modo che ci sia una tracciabilità e contrastare fenomeni come furti, danni, smarrimenti, vendita illegale, che per i produttori di beni sono perdite da milioni di euro”.



Come vanno gli affari?

Il mercato del pallet è il principale settore dell’imballaggio a risentire pesantemente della crisi che deprime i consumi e quindi la produzione, le vendite e gli scambi che avvengono su bancali. Il nostro settore è il primo termometro delle congiunture, rivela gli affanni di qualsiasi economia prima ancora che arrivino i dati ufficiali. E’ un rivelatore della salute dei mercati interni nazionali, perché è connesso alla dinamica del commercio dei beni di largo consumo e attraversa le aziende di marca, il trasporto, la piccola e la grande distribuzione. L’unico settore che tira ancora è quello legato all’esportazione di beni; però qui il pallet è poco presente: i protagonisti sono i grandi imballaggi industriali, standard e fatti su misura. Ma non è solo la crisi dei consumi il problema.



Quali altri problemi ci sono?

La materia prima ‘legno’ dobbiamo acquistarla dall’estero. Oltretutto l’estero oggi fa prezzi nettamente inferiori anche sul prodotto finito e sul mercato italiano circolano pallet acquistati fuori. Ed è anche per questo che la produzione italiana è in grande difficoltà.

Chi sono i vostri maggiori clienti?

Qualsiasi azienda che produca, trasporti, distribuisca e venda beni di largo consumo: pasta, cioccolato, merendine e biscotti, detersivi, ma anche giornali, scarpe, come anche piccole e grandi parti meccaniche. Il 90% di quello che viene prodotto e commercializzato ha bisogno di un bancale.



Non solo beni di largo consumo, quindi…

Assolutamente, anche se sono le attività che ruotano attorno ai prodotti di massa che generano volumi e condizionano lo stato di salute delle aziende del pallet. Ma il pallet viene venduto un po’ a tutti: dal piccolo cliente che ne usa qualche decina a chi ne ha bisogno migliaia di pezzi al giorno.

Che servizi offrite alla vostra clientela?

Siamo una società specializzata nel recupero e nel riutilizzo dell’imballaggio, un mercato vastissimo. In Italia, ma anche nel resto nel mondo, la sua importanza economica è quasi pari a quella della produzione di pallet nuovi.

Si può dire che i prodotti riparati hanno compensato almeno un po’ le perdite accumulate in questo periodo da quelli nuovi?

Alt, bisogna fare una distinzione. Ci sono due mercati: quello legato ai prodotti di largo consumo, che rappresenta la quasi totalità dei movimenti e avviene su pallet standard, riutilizzabili, che le aziende si scambiano riutilizzandoli più volte perché resistenti, riparabili: sono i bancali EPAL, più costosi ma più efficienti e durevoli.

 

L’altro?

 L’altro mercato è quello dei pallet a perdere, che generalmente compiono un numero inferiore di viaggi rispetto agli EPAL, a volte anche uno solo. Si tratta quindi di due mercati diversi. La dimensione del mercato dei bancali EPAL è di gran lunga inferiore, come quantità di pezzi nuovi prodotti e venduti ogni anno, rispetto al mercato dei pallet a perdere, ma solo come numero di pezzi. In realtà la sua importanza è strategica e conserva un peso rilevante proprio per l’insieme delle attività di gestione, riparazione, scambio e riconsegna degli EPAL riutilizzabili.

 

Due mondi indipendenti, uno per il largo consumo, l’altro per gli altri beni. Non è così?

 Non indipendenti, uno salvaguarda l’altro. Nel senso che se nel largo consumo non tuteli i pallet EPAL, i “pooler”, cioè le aziende che noleggiano bancali, vanno a sottrarre il mercato anche ai fornitori del pallet a perdere. Per noi il pallet EPAL è una sorta di cavallo di Troia: se tuteli questo tipo di pallet, che le aziende del largo consumo si scambiano senza ricorrere al noleggio, ecco che si riesce a tutelare anche il mercato dei pallet a perdere. Che è quello che fa fare il fatturato alle aziende italiane.

 

Che prospettive avete per il futuro?

 Purtroppo siamo di fronte a difficoltà notevoli. Ancora oggi, a quasi 15 anni dall’ingresso dell’EPAL nel mercato italiano, non si è riusciti a dare un servizio efficiente alle aziende che investono e acquistano pallet EPAL, aziende che fanno milioni di movimenti e hanno bisogno di centinaia di migliaia di pallet.

 

Cosa occorre?

 Regole certe per tutelare le centinaia di milioni di movimenti l’anno effettuate in Italia solamente nel largo consumo, che generano centinaia di milioni di euro di fatturato.

 

Come si fa a tutelare queste movimentazioni?

 Utilizzando tecnologie come l’RFID per far in modo che ci sia una tracciabilità e contrastare così fenomeni come furti, danni, smarrimenti, vendita illegale, che per i produttori di beni sono perdite da milioni di euro. Se non ci muoveremo in tempo otterremo un solo risultato.

 

Quale?

Le grandi industrie, le imprese di logistica o la grande distribuzione si rivolgeranno sempre più a sistemi che hanno un costo fisso, come i pooler. Il nostro sistema EPAL a interscambio alla pari, invece, è un costo variabile. E oggi purtroppo i costi variabili non sono facilmente ammessi. Un’azienda deve sapere quanto deve spendere in un anno.

 

Il futuro è il noleggio?

Se il sistema produttivo non fa nulla, è destinato a fallire. E il noleggio, che oggi assorbe una quota ancora minoritaria del mercato, avrà il campo spianato e potrà conquistare quote sempre maggiori, come sta facendo da 2-3 anni a questa parte. In questo cambio chi ci perderà saranno i consumatori, dal momento che i costi verranno spalmati sul cliente finale. Le aziende di noleggio appartengono infatti a società private che devono giustamente fare i loro utili. Diverso è un sistema sostenibile come il nostro, fatto da migliaia di aziende che operano in un sistema a basso costo come quello dell’interscambio. Eppure, rischiano fortemente di restare senza lavoro.

 

A meno che vi convertiate anche voi al noleggio.

 No, assolutamente. Fare una società di noleggio significa investire moltissimi soldi. Una società di noleggio è più che altro una finanziaria.

 

Ma i pooler e chi fa noleggio avranno comunque bisogno di produttori-riparatori di pallet, no?

 Ce n’è bisogno solo in fase di produzione. E poi l’incidenza del prodotto nuovo nelle rotazioni del noleggio è bassissima; quindi, morirebbero tutte le aziende. Già oggi, le più importanti aziende di noleggio si avvalgono in Italia di 4-5 produttori che sono addirittura in esubero. Il futuro è nella gestione. E la gestione un’azienda di noleggio se la crea, non l’affida ad altri soggetti: sceglie chi vuole e con poche aziende fa produzione e gestione.