“La ripresa c’è…ma è debole, modesta, fragile”. Non lesina gli aggettivi Mario Draghi per convincere i mercati che la Bce non intende modificare la politica espansiva degli ultimi mesi. I tassi resteranno bassi, sottolinea il presidente della Bce nella prima conferenza stampa del 2014, anzi potrebbero scendere ancora. È questo il messaggio che il banchiere centrale ha voluto ribadire con particolare enfasi, a uso e consumo dei partner Ue piuttosto che dei mercati finanziari. Per più motivi.



A) È importante far sapere ai mercati che la banca dell’euro, a pochi mesi dalle elezioni che in un certo senso rappresenteranno un plebiscito per la moneta unica, non intende modificare la sua azione in sintonia al tapering Usa. Anzi, se sarà necessario, si potranno adottare nuove mosse espansive, che per ora Draghi non specifica. Anche perché è assai dubbio che la Bundesbank e i suoi alleati possano avallare indicazioni in tal senso, salvo situazione estreme.



B) Alla vigilia del direttorio, del resto, la visita del sottosegretario al Tesoro Usa Jack Lew a Berlino si è chiusa con un nulla di fatto. La Germania non ha alcuna intenzione di adottare una politica fiscale più espansiva per favorire il riequilibrio commerciale. In questa cornice la Bce non può che limitarsi a vigilare perché la “ripresina” in atto non perda colpi, ma anzi tragga tutti i vantaggi possibili dal trend in atto a Washington. La forbice tra l’economia europea e quella americana, del resto, lungi dal restringersi si allarga: Janet Yellen, nella sua prima intervista dopo l’investitura definitiva alla Fed, dice di sperare in una crescente ripresa per il 2014, con un tasso di sviluppo vicino al 3%. Oltre Oceano diminuiscono i sussidi per la disoccupazione, intanto nella vecchia Europa l’emergenza lavoro, che pure non è di competenza della banca centrale di Francoforte, è la vera spada di Damocle che minaccia di spezzare il patto di fiducia tra i cittadini e la moneta.



C) Ci vorrebbe, forse, qualche mossa robusta per dare più brio alla ripresa. Lo stesso Draghi ammette che le condizioni dell’inflazione a medio termine “sono peggiorate”. L’indice dei prezzi, scivolato a dicembre a quota 0,8%, molto al di sotto del 2% che resta l’obiettivo Ue, potrebbe giustificare qualche mossa alla giapponese per evitare l’effetto contagio: ormai i prezzi sono in terreno negativo sia in Grecia che in Portogallo, la Spagna è a zero, l’Italia largamente sotto l’1%. Come si può sperare che questi paesi, comunque alle prese con gravi problemi di debito, possano avviarsi lungo una strada virtuosa senza la spinta dell’inflazione? Draghi, però, la pensa in maniera diversa: il calo dell’inflazione nell’Eurozona a novembre era “ampiamente atteso”, anche perché a questo lungo periodo di prezzi bassi seguirà un “graduale movimento verso un’inflazione appena sotto il 2%”. Un livello che fornirà altre munizioni alla Bce per fronteggiare la crisi.

D) Tanta cautela ha una spiegazione politica precisa. Più di tanto la politica monetaria non può fare. Grazie all’azione della Bce, l’eurozona ha potuto registrare grandi progressi sui mercati finanziari che si stanno trasmettendo all’economia reale. Inoltre, il rafforzamento del dollaro ha favorito un graduale rafforzamento dell’export. Ma per trasformare questi vantaggi in qualcosa di più durevole ci vorrebbe un salto di qualità nella politica fiscale dell’Ue che non è alle porte. Anzi, non è il caso di stressare la locomotiva, alla vigilia di tornanti così delicati. Basti, al proposito l’esempio della valutazione dei titoli di Stato nei bilanci bancari, su cui, ammette il presidente, “c’è stata un po’ di confusione”. I bond sovrani, ha ribadito Draghi, dovranno essere considerati “scevri da rischi” ma “altra cosa sarà il loro trattamento nella futura regolazione bancaria”. Ovvero, il prossimo test in sede Ue non boccerà gli istituti di casa nostra. Ma, al solito, il diavolo si annida nei dettagli delle regole che governeranno il sistema dal 2015 in poi, quando si riproporrà il dissidio tra paesi debitori e creditori. Draghi cerca di evitare lo scontro frontale, convinto com’è, a ragione, che nell’economia la storia è scritta dai creditori. Tra cui noi italiani non ci siamo.