«Una crescita del Pil italiano dello 0,6% nel 2014 è ben lontana dal permettere di recuperare quanto si è perso nel 2012 e 2013, senza parlare degli anni precedenti. Stime più ottimistiche sono del resto inverosimili, in quanto la ripresa nelle economie avanzate non sarà sufficiente a trainare l’export italiano e non si vede ancora all’orizzonte un risveglio della domanda interna». Lo evidenzia Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison e professore di Economia industriale all’Università Cattolica. L’update del World Economic Outlook (Weo) del Fmi prevede che il Pil italiano cresca dello 0,6% nel 2014 e dell’1,1% nel 2015, dopo il -2,5% del 2012 e il -1,8% del 2013. Le stime del Fmi per il 2014 sono invece +1,6% per la Germania, +1,7% per il Giappone, +2,8% per gli Stati Uniti, +3,3% per Medio Oriente e Nord Africa, +5,4% per l’India e +7,5% per la Cina. Nessuno tra i grandi Stati monitorati dal Fmi fa peggio di noi, solo la Spagna si ferma al +0,6% come l’Italia. Oggi intanto la Commissione Ue varerà l’Industrial Compact, un piano da 100 miliardi di euro per rilanciare il settore manifatturiero.



Quali novità emergono dal rapporto del Fondo monetario internazionale?

Non ci sono state delle grandi variazioni rispetto alle ultime previsioni di ottobre. Le previsioni del Fmi per il 2014 sono un po’ più basse di quelle del governo italiano, che peraltro risalgono a qualche tempo fa. Tutto sommato quelle del Fondo monetario sono previsioni abbastanza in linea con quelle di tante altre istituzioni come Prometeia e Confindustria.



Che cosa significa in concreto una crescita del Pil dello 0,6%?

Il dato che emerge è che il 2014 sarà un anno di rimbalzo ma ancora molto debole. È un dato di fatto che difficilmente potrà essere modificato dagli eventi, salvo sorprese clamorose come una dinamica delle esportazioni più spinta di quello che si può prevedere. Stiamo parlando di ipotesi molto lontane, in quanto alla fine del 2013 le esportazioni stavano rallentando in conseguenza dell’andamento complessivo del commercio mondiale.

Eppure il Fmi prevede una ripresa più marcata per Regno Unito e Germania…

È pur vero che è ipotizzabile una ripresa complessiva delle economie avanzate europee nel corso del 2014, ma è difficile che ciò si traduca in una crescita formidabile dell’export italiano. Nello stesso tempo non si vede ancora all’orizzonte un risveglio della domanda interna. I dati Istat sugli ordinativi interni diffusi lunedì registrano qualche segnale di risveglio, ma è difficile che nel corso del 2014 i consumi tornino a correre. A pesare sono soprattutto lo stato della disoccupazione diffusa, il pessimismo tra i consumatori e le tendenze a risparmiare molto anche in funzione degli alti livelli di tassazione raggiunti e delle incertezze legate alla fiscalità generale e alla casa.



Quali sono le conseguenze?

Finché è questa la situazione, la crescita del Pil continuerà a oscillare tra lo 0,5 e lo 0,6%, qualsiasi siano le previsioni formulate negli ultimi tempi da vari istituti. Lo 0,6% non è una crescita trionfale, è una ripresa molto modesta e un tipico rimbalzo dopo una caduta biennale. L’Italia ha perso il 2,5% nel 2012 e l’1,8% nel 2013, per una perdita complessiva del 4,3% in due anni che non è stata generata da fattori ciclici internazionali, ma dal crollo del mercato domestico determinato dalle misure di austerity.

 

L’Industrial compact può invertire questa tendenza?

Il problema è che la Commissione Ue sembra essere più puntigliosa sui compact fiscali anziché su quelli industriali. Il piano per il settore produttivo punta al 2020 con ambizioni importanti, e si pensa di poter stimolare l’economia con incentivi da 100 miliardi di euro. Così come è ambiziosa l’idea di portare il peso della manifattura dal 14% al 20%.

 

Come si spiega un programma così ambizioso?

L’Ue si è finalmente svegliata e ha scoperto che un continente come l’Europa non può vivere solo di servizi, ma che ci vuole una manifattura forte. Una nota del Centro Studi Confindustria uscita qualche giorno fa documenta come il contributo della manifattura alla crescita del Pil sia molto forte. Il peso dell’industria è fondamentale anche per la ricerca e sviluppo, e per la crescita dell’innovazione.

 

Il fatto che l’Ue se ne sia resa conto cambierà le cose?

Avere riscoperto industria e manifattura è certamente importante, ma le risorse messe a disposizione sono solo apparentemente rilevanti in quanto nella realtà sono spalmate nel tempo e molto generiche. Bisognerà quindi vedere se l’Europa, oltre a fare dei proclami, riuscirà ad accompagnare le misure a favore dell’industria manifatturiera con una politica ambientale e fiscale che non vada in una direzione completamente opposta come è avvenuto finora.

 

(Pietro Vernizzi)