“C’è in giro un’allarmante quantità di ottimismo sulle prospettive dell’economia per il 2014”, scrive il premio Nobel all’economia Paul Krugman. E aggiunge: “Per rendere la situazione ancora più allarmante, vi dirò che sostanzialmente sono ottimista anch’io”. A maggior ragione, potremmo aggiungere, se si guarda alle prospettive dell’Italia, alle corde dopo una lunga recessione. Tanto per cominciare, gioca a favore dell’Europa “periferica” il flusso degli acquisti da parte dei grandi gestori. Mercoledì, l’asta spagnola dei titoli decennali è stata sommersa di richieste in arrivo da fondi pensione e altri investitori istituzionali: a fronte di un’offerta di titoli per 10 miliardi, sono piovute a Madrid richieste per 40 miliardi, cosa che ha spinto il ministero del Tesoro a scrivere che “la situazione è tornata alla normalità: la Spagna non ha più problemi di funding”.



Dietro la febbre per i titoli della periferia (l’Irlanda ormai tratta a livelli simili al Regno Unito) c’è la necessità per i grandi money manager di far fruttare i quattrini della clientela. Negli ultimi anni molte compagnie hanno emesso polizze vita a lungo termine a condizioni oggi insostenibili, visto il calo dei rendimenti. Le assicurazioni tedesche, ad esempio, garantiscono rendimenti in media del 3,19%, assolutamente insostenibili se la tesoreria investe in Bund tedeschi o titoli svizzeri. Di qui la necessità di spostare soldi verso le aree più deboli dell’Eurozona a caccia di rendimenti.



Un secondo fattore gioca a nostro favore: il rallentamento dell’economia cinese sta modificando gli equilibri dell’economia globale così come erano maturati all’inizio del millennio. La Cina ha già stabilizzato la sua domanda di materie prime e inizierà a ridurla nel prossimo decennio quando volgerà al termine il suo programma di inurbamento. Quanto al credito, come ben sappiamo nell’Occidente indebitato fino al collo, a un certo punto si raggiunge un limite. Oltre questo limite c’è prima l’instabilità e poi il collasso.

A esasperare il fenomeno, poi, contribuisce il deflusso di capitali da paesi emergenti, legato al tapering. Soffrono per ora più di tutti Brasile, Turchia e Thailandia, ma il contagio promette di essere profondo. Il Brasile è tornato a essere il Paese dell’eterno futuro che è sempre stato e crescerà a fatica del 2% all’anno per il prossimo triennio, meno degli Stati Uniti. Per non parlare dell’India, che è tornata a dibattersi tra le spire della sua immensa burocrazia. O della Russia, che sta in piedi grazie all’energia, ma che mostra crepe ogni giorno più allarmanti. Va peggio in molti paesi privilegiati negli anni passati dai gestori, insofferenti del declino italiano: Ucraina, Venezuela, Argentina, Thailandia, Egitto. Perfino la Turchia, ex tigre del Bosforo. Realtà diverse, ma che i mercati tendono a bocciare con un giudizio sommario: meglio l’Europa, tartassata e depressa ma che, proprio per questo, promette un buon rimbalzo. E così tutti di corsa alla volta di Dublino, Madrid, Lisbona o perfino Atene.



E l’Italia? “Il 2014 dovrebbe essere l’anno dell’Italia che ha una variazione della crescita maggiore rispetto agli altri paesi passando dal -2% allo 0,5/0,6%”. Parola di Francesco Garzarelli, capo della ricerca economica in Europa per Goldman Sachs. “L’Italia scambia sui fondamentali relativi e 200 punti base sono più o meno dove dovrebbe girare il Paese. La Spagna, il Portogallo o l’Irlanda sono molto al di sotto dei loro fondamentali e quindi si avvantaggiano di questa grossa liquidità che cerca rendimenti e che finora non ha toccato l’Italia appieno”, ha spiegato pochi giorni fa Garzarelli a margine di un convegno. Insomma, l’Italia ha fondamentali migliori di Spagna e altri Paesi, ma, a differenza loro, non ha ancora imboccato il cammino delle riforme. “L’Italia non ha ancora un quadro chiaro su questo, mentre in termini relativi in Spagna lo è di più”, ha concluso l’economista.

È un vero peccato perché i conti, stavolta, potrebbero tornare per davvero. L’Italia non ha conti in sospeso con gli Usa, ovvero non ha beneficiato come gli emergenti del Quantitative easing. Ha tutto da guadagnare dal possibile (se non probabile) aumento del dollaro, così come dall’andamento riflessivo delle materie prime. La conferma arriva dall’andamento della bilancia commerciale verso i Paesi extra Ue che nel 2013 ha segnato un surplus di 20 miliardi (0,8 miliardi nel 2012) e, al netto dell’energia, il forte incremento del surplus – rileva l’Istat – nel 2013 è dovuto, oltre al calo del deficit energetico (da -62,5 miliardi nel 2012 a -50,0 miliardi nel 2013), anche all’incremento dell’avanzo degli altri comparti, che raggiunge 70,1 miliardi a fronte di 63,4 miliardi nel 2012.

Certo, nel 2014 il made in Italy troverà difficoltà in Cina (come già è anticipato dalla frenata del lusso in Borsa), ma il fenomeno sarà largamente compensato dal boom degli Usa o di altri mercati tradizionali. Insomma, l’economia sarà depressa ancora per un bel po’(e l’occupazione non tornerà a crescere prima del terzo trimestre), ma la risalita potrebbe essere già cominciata. E a favorirla potrebbe essere, altra nota rosa, un sistema bancario che, dopo il drastico aumento delle sofferenze e dei relativi accantonamenti, potrebbe ripartire più e meglio del previsto.

Insomma, l’appuntamento con il treno della ripresa è possibile. Ma attenzione. Se anche stavolta perdessimo la coincidenza, non ci resterà che guardare il convoglio che se ne va.