Non si ferma la contrazione del credito al settore privato. L’ultimo Bollettino della Banca d’Italia rileva a fine novembre un calo sui dodici mesi dei prestiti alle imprese (-5,8%) e alle famiglie (-1,1%). Aumenta la velocità di caduta, soprattutto nei primi cinque gruppi bancari e (tra questi) nei confronti delle imprese con meno di 20 addetti. Non è un fenomeno soltanto italiano. Il Monthly Bulletin della Bce rileva nello stesso periodo uno calo dei prestiti alle imprese dell’Eurozona del 3,1%.
Il credit crunch rischia di soffocare sul nascere gli accenni di ripresa che timidamente si manifestano. Storicamente, le fasi di uscita dalla recessione sono sempre accompagnate da una dinamica sostenuta del credito. Purtroppo, non è quello che si osserva in questi mesi. Negli Usa e nel Regno Unito, il credito stazionario non ha nuociuto troppo alla ripresa grazie alla buona liquidità dei mercati dei titoli societari (bond negli Usa ed equity in Uk). Lo ha rilevato la stessa Bce, che invece si preoccupa per lo stesso fenomeno osservato nella bancocentrica Europa, nonostante l’enorme massa di denaro a buon mercato che la stessa Bce ha pompato nel sistema.
Mario Draghi lo ha stigmatizzato in settimana nell’intervista al Neue Zürcher Zeitung: della provvista mediante Ltro, una parte troppo piccola è affluita all’economia reale. Draghi non si è sbilanciato sulle misure che la Bce potrebbe attuare per far affluire più credito a imprese e famiglie. I commentatori sono tornati a ipotizzare (come già nel novembre scorso) una versione rivista delle Ltro sul tipo del Funding for Lending Scheme della Bank of England, uno sportello speciale di rifinanziamento che premia le banche capaci di espandere il credito alle famiglie e alle Pmi con tassi molto agevolati. Sul Funding for Lending si sono erogati da luglio 2012 fino a settembre 2013 23 miliardi di sterline (28 miliardi di euro) a 33 gruppi bancari inglesi. Dopo uno sviluppo iniziale trainato dai mutui casa (che ha contribuito a una mini-bolla immobiliare), dal novembre 2013 la Bank of England limita il sostegno al credito alle imprese.
Come valutare questo strumento? È utile contro il credit crunch? Diciamo subito di sì. Senza aiuti straordinari non si può oggi fare banca. E qui non parliamo di un nuovo canale di aiuto, ma di una rimodulazione di una misura già in atto (le Ltro) che a novembre 2013 pesava più di 200 miliardi di euro nella provvista delle banche italiane. I gruppi maggiori stanno rientrando dal debito verso la Bce. Tra le banche locali, invece, molte non possono fare a meno di questa fonte di liquidità stabile dal costo irrisorio. Ci sono buoni motivi per sostenerle, visto il loro apporto crescente all’offerta di credito alle Pmi.
Sarebbe però un grave errore aspettarsi tutto da un programma Funding for Lending. Per fare credito ci vogliono banche solide, con bilanci trasparenti. Con l’imminente Asset Quality Review, la Bce intende fare selezione tra i maggiori gruppi europei: le banche con patrimonio inadeguato, sofferenze latenti, gestione non economica dovranno uscire dal mercato. Le autorità, nel duplice ruolo di supervisore e di banca centrale, potranno esercitare una grande discrezionalità nel separare i deboli dai forti, i sommersi dai salvati, soprattutto nei confronti dei paesi eurodeboli, tra cui il nostro.
La partita si gioca nell’immediato sul fronte degli interventi straordinari di ricapitalizzazione. Occorre parallelamente un lavoro lungo e capillare per riassorbire lo stock di credito problematico e rimettere le banche nelle condizioni di finanziare le imprese meritevoli. Draghi ha ragione, non tutte le banche (grandi e piccole) riusciranno a passare la nottata, e l’esame dei supervisori. A livello nazionale, si può fare qualcosa per mettere le nostre banche nelle condizioni di difendere le loro posizioni e ripartire.
Le risorse però sono poche e il tempo per intervenire si sta esaurendo. Non basta fare i salti mortali per tenere in mani italiane il controllo di un sistema debole. Occorre ripensarlo e riorganizzarlo.