Dopo l’adesione all’Ue nel 2004, l’economia polacca ha conosciuto una fase di crescita sostenuta. Grazie all’aumento delle esportazioni, della produzione industriale e della domanda interna, all’afflusso dei fondi strutturali Ue (oltre 67 miliardi di euro nel periodo 2007-2013) e ai cospicui investimenti esteri (17,196 miliardi di euro nel 2007), il Pil polacco ha segnato una forte progressione, con tassi d’incremento superiori al 6% nel biennio 2006-2007 e mantenendosi su indici positivi anche negli anni di più acuta crisi globale (4,3% nel 2011), unico tra i Paesi Ue. La recente crisi economica ha influenzato negativamente anche l’economia polacca, che nel 2012, comunque, è cresciuta del 2,4%. Le previsioni per il 2013 erano di un tasso di crescita dell’1,8%.
Per migliaia di vicini occidentali la Polonia è diventata, quindi, uno dei paesi più attraenti dove vivere e fare carriera. Quasi seimila società tedesche, per lo più piccole e medie imprese, si sono trasferite in Polonia. Nel solo 2006, ad esempio, secondo l’Ufficio federale tedesco di statistica, in Polonia si sono trasferiti 9.434 tedeschi. Il Paese ha preso il posto dell’Austria, ed è lo Stato preferito dai tedeschi dietro la Svizzera e gli Stati Uniti.
Nel solo 2012 gli investimenti esteri in Polonia sono aumentati del 5% in particolare nel manifatturiero, ponendo la Polonia al terzo posto per attrattività dopo Cina e Stati Uniti per i grandi investitori globali. Sono, insomma, decisamente lontani i tempi di Solidarnosc, il primo sindacato libero in un Paese del blocco sovietico, e gli scioperi dei portuali di Danzica guidati, allora, da quel Lech Walesa che divenne poi il primo Presidente della nuova Polonia.
Certamente, quindi, il Paese di Karol Wojtyla negli ultimi anni ha fatto passi da gigante divenendo, almeno nell’area dell’Europa orientale, un importante player strategico. Si pensi che si sta ipotizzando, addirittura, un ex premier polacco come candidato alla presidenza della Commissione europea per il dopo Barroso.
Tutto ciò premesso suona, tuttavia, perlomeno curioso sentir parlare del cosiddetto “Piano Polonia” di Electrolux che prevede, per gli stabilimenti italiani, una drastica riduzione del costo del lavoro e degli stipendi per evitare la delocalizzazione della produzione. L’azienda svedese di elettrodomestici avrebbe infatti proposto ai sindacati un forte taglio degli stipendi degli operai da 1.400 euro al mese a circa 700-800 per avvicinarli agli standard di costo di Olawa, ridente cittadina della Bassa Slesia.
Sembra, anche da queste vicende, emergere così l’urgenza che la classe dirigente del nostro Paese si concentri, senza possibilità di procrastinare ulteriormente tale appuntamento, sulla definizione di un “Piano Italia” che metta al centro una strategia industriale seria e credibile sulla base della quale rilanciare la crescita e far ripartire l’occupazione.
In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com