“L’economia globale è a un punto di svolta e può cavarsela con una crescita inferiore alla media, una nuova mediocrità, oppure si può puntare a un percorso migliore in cui delle politiche coraggiose facciamo accelerare la crescita, aumentare l’occupazione e realizzare un nuovo slancio”. Lo ha detto la presidente del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, intervenendo alla Georgetown University di Washington nel giorno del crollo delle Borse europee per le rassicurazioni di Draghi ritenute insufficienti. Per Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, la vera svolta sarebbe una dichiarazione dei leader europei che la vera priorità è l’occupazione, ma questo finora non è stato fatto da nessuno, Italia compresa.



Quali sono le “politiche coraggiose” di cui parla la Lagarde?

Ciò di cui c’è bisogno sono misure non convenzionali per fare in modo che il credito che ancora non arriva a imprese e famiglie, pur con un tasso ufficiale praticamente pari a zero, riesca a trovare la sua strada. Vanno esplorate con attenzione nuove modalità, perché tutto ciò che è stato fatto finora bisogna prendere atto che ha funzionato poco. La Bce si prepara ad acquistare nuovi asset, ma bisogna capire se il sistema finanziario è aperto a ipotesi di questo tipo.



In concreto che cosa bisogna fare?

Una prima manovra coraggiosa consiste nell’individuare misure non convenzionali efficaci per la politica monetaria. Una di queste misure, nonché quella più famosa, è il quantitative easing già messo in atto negli Stati Uniti. Nell’esperienza americana questa modalità non convenzionale ha prodotto dei risultati, anche sul fronte dell’economia reale e dell’occupazione. Ciò però non è avvenuto nella misura necessaria agli Stati Uniti, ma qualche risultato c’è stato. In Europa però, come nel gioco dell’oca, siamo ancora alla casella di partenza.



Che cosa si aspetta invece sul fronte degli investimenti Ue?

Sul fronte degli investimenti europei mi aspetto una politica d’urto, di cui si è parlato molto passando però poco ai fatti. Se davvero vogliamo uscire dalla crisi, in Europa gli investimenti rimangono la priorità. Questi ultimi avrebbero un effetto immediato e stabile sull’occupazione e sui redditi. Non possiamo infatti limitarci a misure parziali come il provvedimento sul Tfr.

Più in generale, che cosa va cambiato per quanto riguarda la politica economica europea?

Occorre una dichiarazione esplicita dei governi europei che il problema numero uno è l’aumento dell’occupazione e la riduzione del tasso di disoccupazione. Questa dichiarazione rappresenterebbe la svolta decisiva.

 

In questo scenario l’Italia che cosa può fare?

Nel suo piccolo può fare delle cose utili. Non mi pare che la riduzione della disoccupazione sia stata una priorità della politica economica italiana degli ultimi anni. Un’accelerazione del pagamento dei crediti della Pubblica amministrazione alle imprese può dare inoltre un respiro alle aziende. A ciò si aggiungono misure sul piano sociale. La situazione è tale che, in particolare in Italia, il bisogno di una direzione precisa e su questo piano è sempre più urgente. Questo si può certamente realizzare attraverso un’azione dell’amministrazione centrale, ma i corpi intermedi possono giocare un ruolo fondamentale. Dal momento che l’Italia non ha l’efficienza della Germania o della Francia, i corpi intermedi vanno valorizzati e vitalizzati in massima misura.

 

Quale equilibrio va trovato tra crescita economica e riduzione del debito?

I provvedimenti di riduzione della spesa sono utili se si adottano rigorosi vincoli di equità. Altrimenti c’è un forte rischio di aggravare la situazione anziché migliorarla. Finora questo non è avvenuto, e quindi il risultato è stato una manovra restrittiva simultaneamente su tutti i fronti, e ciò ha fatto precipitare l’economia italiana nella crisi totale. La questione centrale è che una parte notevole del debito, a differenza di quanto avveniva negli anni ’90, oggi è nelle mani di soggetti esteri non residenti. I mercati finanziari, e in particolare quelli del reddito fisso, sono particolarmente potenti nell’influenzare le politiche economiche.

 

(Pietro Vernizzi)