«Due miliardi di taglio del cuneo fiscale sono soltanto una goccia nel gran mare delle tasse sul lavoro. Meglio destinare quelle risorse a detassare gli investimenti delle imprese manifatturiere». Ne è convinto Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, tanto più che ieri il Fondo monetario internazionale ha tagliato le stime di crescita del Pil dell’Italia per il 2014 al -0,2% dal +0,3% e dal +1,1% al +0,8% per il 2015. Sempre ieri, incontrando i sindacati, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato che la Legge di stabilità conterrà 1,5 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali, 2 miliardi per la riduzione delle tasse sul lavoro e un miliardo per la scuola.
Quale impatto possono avere queste somme sull’economia italiana?
Un miliardo e mezzo di risorse aggiuntive per gli ammortizzatori sociali ha una certa consistenza rispetto ai problemi presenti in quel segmento. Nel gran mare del costo totale del lavoro, 2 miliardi per la riduzione del cuneo fiscale sono invece sostanzialmente ininfluenti. Risorse così limitate sarebbe meglio utilizzarle per detassare nuovi investimenti. Occorre trovare forme di risparmio fiscale per le imprese che accelerano rispetto al passato.
La vera causa della bassa occupazione non è proprio il cuneo fiscale?
Oggi il dibattito italiano si concentra sulla flessibilità e sulla riforma delle regole del lavoro. Il dramma italiano è però che non si parla del capitale, che a sua volta avrebbe bisogno di essere riformato. Il problema italiano è che dopo la recessione del 2008 le imprese hanno tagliato drasticamente gli investimenti netti di ogni anno, che si sono praticamente azzerati.
Insomma, è questa la vera causa dei problemi della manifattura?
Sì. Se anche il costo del lavoro diventasse improvvisamente conveniente, e con la bacchetta magica riuscissimo a ridurre il cuneo fiscale, ipotizzando che le imprese siano volenterose nell’assumere nuove persone, poi il problema che si pone è a quali impianti le farebbero lavorare. Nel settore manifatturiero, infatti, mancano o sono obsoleti. Se anche il fattore lavoro diventasse più conveniente e appetibile, le imprese non saprebbero che cosa farsene. Accanto a una riforma del lavoro, c’è bisogno anche di dare un elettroshock al capitale.
In che modo è possibile farlo?
Il modo per riuscire a farlo è detassare gli investimenti. Dal momento che gli investimenti languono o sono fermi, rischiamo addirittura di avere un depauperamento dello stock di capitale a disposizione dell’economia italiana. C’è il rischio che i nuovi investimenti non riescano più neanche a sostituire quelli che si sono esauriti. O addirittura che lo stock complessivo di capitale cali, portandoci in un vicolo cieco in quanto senza macchinari non si produce. Soldi destinati a detassare gli investimenti sono più efficaci e il fabbisogno è minore rispetto alla riduzione del cuneo fiscale.
Che cosa ne pensa invece del Tfr in busta paga a partire dal 2015?
Quelli del Tfr sono soldi che spettano ai lavoratori, e in tempi di crisi potrebbe essere giusto permettere ai lavoratori di prelevarli. Ciò dovrebbe essere fatto però su base volontaria. Mi rendo conto che per le piccole imprese ciò potrebbe comportare qualche problema, ma d’altra parte in questo momento i tassi d’interesse sono bassi e se le banche aprono il canale del credito questa misura diventerebbe fattibile. L’accelerazione della domanda è una priorità, e si sta facendo di tutto per sostituirla dopo che è stata “uccisa” dalle manovre fiscali del 2011.
Concretamente però come si potrebbe fare?
Si potrebbe lasciare la scelta ai lavoratori, e se un’impresa vuole mantenere questi soldi a disposizione per finanziare le sue attività potrebbe contrattare offrendo ai suoi dipendenti un rendimento più alto.
(Pietro Vernizzi)