Calano Pil e investimenti, aumentano sia pur lievemente i consumi delle famiglie. È il dato che emerge dall’aggiornamento dei conti economici trimestrali dell’Istat, secondo cui nel terzo trimestre 2014 il Pil è diminuito dello 0,1% rispetto al secondo trimestre e dello 0,5% rispetto al terzo trimestre 2013. Gli investimenti fissi lordi calano dell’1% rispetto al trimestre precedente, i consumi dell’amministrazione pubblica calano dello 0,1% mentre i consumi delle famiglie aumentano dello 0,1%. Intanto il premier Renzi, intervenendo a un incontro sul semestre Ue, ha ammonito: “O l’Ue cambia verso in direzione economica oppure rischia di diventare la cenerentola dei paesi globali: il mondo corre, anche se un po’ più piano e l’Europa è in una fase di sostanziale stagnazione, a crescita quasi bloccata”. Ne abbiamo parlato con Francesco Daveri, docente di Scenari economici all’Università di Parma.
Ha ragione Renzi a chiedere un cambiamento a livello europeo?
Guardando alle varie aree del mondo, l’Europa è l’unica ad avere una crescita zero o quasi zero, mentre gli Stati Uniti fanno oltre il +3%, l’Asia il +5%, Medio Oriente e Africa sub-sahariana +4%. Certamente l’Europa può e deve fare di più, e lo può fare se riesce a uscire dalla trappola dell’eccessivo rigore in cui è caduta negli ultimi anni. Ciò non significa necessariamente portare il deficit pubblico al 6%, anziché al 2,5-3% che è la media attuale.
Qual è allora la soluzione?
Purtroppo i debiti pubblici accumulati peseranno sugli anni a venire, ma in Europa ci sono alcuni paesi che possono spendere e altri che non sono in grado di farlo perché sono molto indebitati. Tra i primi sicuramente c’è la Germania, e se si mettesse a spendere se ne avvantaggerebbero gli stessi interessi tedeschi. Gli investimenti in Germania languono, nonostante i consumi si siano in parte ripresi nel terzo trimestre. Una Germania che facesse maggiori investimenti pubblici e che tagliasse le tasse, facendo un po’ di deficit, farebbe bene a se stessa e all’Europa. Ha ragione quindi Renzi a sottolineare questo aspetto.
Che cosa dovrebbe fare l’Europa?
La Bce sta già facendo la cosa giusta, cioè proseguire con il processo di unione bancaria e questo è un passo molto importante per il ritorno del credito. L’Europa deve inoltre guardare con maggiore flessibilità alle variazioni del deficit per i paesi che intraprendono la strada delle riforme in modo più determinato di quanto abbia fatto l’Italia negli ultimi mesi. Se la lettera di Padoan riesce a produrre risultati tangibili ciò cambierà le carte anche in Europa, perché consentirà ad altri Paesi di ispirarsi alla direzione che stanno prendendo Italia e Francia in questo periodo.
Lei quale Europa vede per il futuro?
È possibile costruire un’Europa che non manda la Trojka, e che avanza con un monitoraggio attento dei deficit pubblici senza legarlo però ai decimali. Questo potrebbe essere il modo più sostenibile per pensare a un’Europa del futuro. Sarebbe auspicabile fare anche più deficit, ma con il debito pubblico che ci ritroviamo non è realmente una strada percorribile.
Che cosa dovrebbe fare l’Italia?
Se l’Europa è la cenerentola del mondo, il rischio è che l’Italia diventi la cenerentola d’Europa. Occorre accelerare sulla riforma fiscale e sul taglio della spesa, mentre il Jobs Act ai fini della ripresa non porterà benefici.
Che cosa va fatto in concreto per tagliare la spesa?
Come era stato previsto dalla spending review di Cottarelli, occorre incidere sulla spesa delle partecipate, al cui interno spesso ci sono più consiglieri d’amministrazione che dipendenti. Anche se la principale voce di spesa pubblica che andrebbe riordinata riguarda la sanità, che tende ad aumentare per ragioni demografiche e per il fatto che sono necessari investimenti nei macchinari per fare lo screening e la medicina preventiva. Bisogna trovare il modo per produrre le prestazioni sanitarie senza però fare crescere continuamente la spesa sanitaria. Quest’ultima oggi è pari a 109 miliardi, ma si prevede che nei prossimi quattro o cinque anni crescerà di altri 5-6 miliardi.
(Pietro Vernizzi)