Tra le centinaia di modifiche in materia di politica economica e fiscale se ne vedono ben poche finalizzate a interventi immediati per la gestione dell’emergenza. Le tasse non sono state ridotte, non sono stati creati sostegni speciali per territori, aziende e gruppi sociali in difficoltà, non sono stati tolti i vincoli che ostacolano la ripresa di settori chiave, per esempio quello immobiliare. Infatti, inserendo le quantità della Legge di stabilità e di altre “riforme” nelle proiezioni, lo scenario resta preoccupante: il Pil italiano nel 2015 crescerà attorno allo 0,5%, pochissimo, solo per spinta esterna, cioè per la svalutazione dell’euro che favorirà l’export e la riduzione (temporanea) dei prezzi energetici. In altre parole, le misure economiche del governo saranno irrilevanti per uscire dalla stagnazione e riassorbire la disoccupazione.
Eccesso di critica? La riforma del lavoro è un miglioramento in relazione al passato, ma non al punto da incentivare in misura rilevante, e a breve, nuove assunzioni. La conferma degli 80 euro mensili per i redditi bassi avrà un certo impatto stimolativo, ma talmente minimo da non essere significativo.
Il punto: una cosa è la gestione dell’emergenza economica, un’altra è il modificare il sistema affinché nel tempo conquisti più efficienza. Le due cose possono essere fatte in parallelo, ma la seconda non sostituisce la prima. Quindi non appare un eccesso far notare che in Italia non c’è una politica d’emergenza per gestire una crisi gravissima e che c’è la tendenza a spacciare riforme – peraltro discutibili – a impatto remoto come interventi con effetto a breve.
Da un lato, il governo non ha strumenti sovrani per interventi d’emergenza quali la spesa in deficit oltre il 3% del Pil e una moneta nazionale da stampare, mezzi usati, per esempio, da America, Regno Unito e altri per uscire rapidamente dalla crisi. Dall’altro, esiste una varietà di misure straordinarie che sarebbe possibile attuare entro questi limiti: (a) garanzia “una tantum” per le imprese in crisi affinché possano essere risistemate senza dover fallire; (b) ricapitalizzazione con prestito statale delle banche in difficoltà per liberare più credito; (c) programmi speciali di assistenza diretta per territori e gruppi sociali in difficoltà, ecc.
In conclusione – calcolo del mio gruppo di ricerca – riallocando circa 40 miliardi di spesa pubblica per interventi temporanei d’eccezione l’emergenza sarebbe meglio gestita e attutita, ma di tale progetto non c’è ancora traccia. L’augurio di Natale è che la politica venga illuminata da più concretezza.