Il basso prezzo del petrolio e il calo dei rendimenti dei Btp danno respiro all’economia e ai conti pubblici dell’Italia. Non è però tutto oro quello che luccica, perché il greggio a 71 dollari al barile colpisce duramente l’economia russa, che fino a poco fa era uno dei principali importatori di prodotti italiani. Fatto sta che il calo dei rendimenti dei Btp decennali sotto al 2% e lo spread al minimo storico di 123 punti sono una boccata d’ossigeno per il bilancio dello Stato italiano. Ne abbiamo parlato con il professor Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



Quali sono i vantaggi per l’Italia del basso prezzo del petrolio?

Il primo vantaggio è che le bollette saranno meno care, e man mano che le tariffe per i cittadini e le imprese ingloberanno questi cali, l’Italia ne beneficerà sicuramente in termini di bilancia commerciale e di costi. I benefici saranno maggiori per l’energia elettrica e il gas piuttosto che per i carburanti, sui quali pesano in modo significativo le accise.



La crisi petrolifera presenta anche dei possibili effetti negativi?

Una caduta così rapida dei prezzi del petrolio pone dei problemi di stabilità per i paesi produttori quali Russia, Iran e Venezuela, che hanno seri rischi legati a un brusco calo dei prezzi che possono poi trasformarsi in rallentamenti molto forti dell’attività economica. Tutto ciò può andare a sua volta a impattare su esportazioni e commercio mondiale. Minori sono le risorse di questi Paesi e più ridurranno la loro attività economica e le importazioni.

Con quali effetti per il nostro Paese?

Se le esportazioni italiane verso la Russia stavano già rallentando notevolmente per effetto delle tensioni geopolitiche, questo ulteriore tracollo del prezzo del petrolio aggraverà sicuramente la situazione. Le marche italiane che esportano calzature o mobili in Russia, con le sanzioni, il crollo del rublo e il prezzo del petrolio ai minimi si trovano ad avere a che fare con un mercato “sgonfiato”.



Quanto può durare la crisi petrolifera?

È difficile prevedere per quanto durerà. Ormai il mercato ha preso il sopravvento sugli accordi all’interno del cartello, facendo saltare i tagli di produzione che potevano in qualche modo mitigare questa situazione. Lo stesso shale gas è stata una delle componenti che ha fatto scoppiare l’attuale crisi, ma a sua volta un calo porrà dei problemi ai produttori marginali. Ci saranno tensioni complessive tra i grandi protagonisti, con contrapposizioni geopolitiche tra interessi di vari paesi. Certamente però lo shock del calo del prezzo del petrolio non può esaurirsi in pochissimi mesi, perché si stanno confrontando i giganti del pianeta.

Quali conseguenze ha invece il calo dei rendimenti dei Btp?

La forte caduta dello spread è sicuramente un grande vantaggio per i conti pubblici perché comporta un calo dei tassi. Poiché l’Italia ha un grande stock di debito, avere interessi più bassi in questo momento è molto importante. In questo modo, infatti, l’aumento del debito pubblico legato agli interessi rallenta notevolmente.

 

Secondo lei, questo livello di spread durerà a lungo?

La Bce può contribuire ulteriormente a dare ai mercati un segnale molto forte. In questo momento si sta discutendo di quale potrà essere la linea e se ci saranno acquisti di titoli di Stato. Si parla addirittura di un possibile piano che prevedrebbe acquisti pubblici in proporzione ai contributi degli Stati alla Bce, ma con una garanzia finale che in caso di default a rispondere non sarebbe la Bce bensì le singole banche centrali. Qualunque sarà la scelta, un ulteriore intervento sui mercati da parte della Bce potrebbe certamente contribuire a mantenere i tassi bassi e a farli scendere ulteriormente.

 

Che cosa può fare l’Italia per cogliere le opportunità legate al basso prezzo del petrolio e ai rendimenti dei Btp decennali in calo?

L’attuale situazione non cambia le carte in tavola della politica economica, in quanto i nostri obiettivi di bilancio non saranno modificati. Ne ricaveremo un certo vantaggio sugli interessi che si tradurrà in un minore incremento del debito, e che tuttavia non andrà a incidere sui conti perché normalmente i vantaggi che derivano dalle variazioni dei tassi d’interesse non sono utilizzati sul deficit. Non credo quindi che questa situazione possa cambiare la politica economica. Può migliorare qualche risultato macroeconomico, nel senso che la nostra bilancia commerciale può chiudere il 2014 con un attivo pari a circa 40 miliardi di euro e potrebbe ulteriormente crescere nel 2015 in virtù di un lungo periodo di prezzi del petrolio ai livelli attuali.

 

(Pietro Vernizzi)