Per rimettere il Paese sul binario della crescita e dell’occupazione “dobbiamo cominciare con l’abbattimento del debito, non per rimandare le iniziative per il lavoro o altre riforme ma per agire contemporaneamente su entrambi i piani”. È questa la ricetta di Alan Friedman, intervenuto di recente sul Corriere della Sera per spiegare che una riduzione seria del debito proteggerà il nostro Paese dagli speculatori e “ci metterà in una botte di ferro, dandoci una credibilità forte e un vero potere contrattuale in Europa”. Muovendosi in questo modo, il governo italiano manderebbe un messaggio “potente” ai mercati finanziari, ai nostri critici e “pure ad Angela Merkel”. Parlare di riduzione del debito è semplice, ma come farlo? Secondo Friedman, bisogna “sfruttare il patrimonio pubblico, senza svenderlo”, così da riconquistare la credibilità a livello europeo e nei mercati, “riducendo gli interessi che paghiamo”. Solo così potremo tornare a investire, tagliare le tasse e “pensare in grande a un piano di rilancio complessivo del Paese”. Non è d’accordo Edward Luttwak, economista e politologo americano, il quale tra l’altro rivendica la paternità della teoria illustrata da Friedman sulle pagine del Corriere riguardo l’utilizzo del patrimonio pubblico italiano. Lo abbiamo contattato per un commento.
Professor Luttwak, per tornare alla crescita bisogna pensare innanzitutto ad abbattere il debito?
Sono anni che l’Italia tenta di ridurre il debito aumentando le tasse, ma non fa altro che peggiorare la situazione. Da sempre viene insegnato agli studenti del primo anno di economia che, se si tenta di pagare i propri debiti aumentando le tasse, il debito cresce ancora. Questo avviene semplicemente perché si riduce il livello di attività economica, aumentano le spese di welfare e il Tesoro raccoglie di meno. E la persistenza con cui i governi italiani guidati da Monti e Letta hanno portato avanti questa politica ha destato l’opposizione unanime degli economisti di tutto il mondo.
Qual è allora la priorità dell’Italia?
La priorità non è la riduzione del debito, ma delle tasse, così da far aumentare i consumi e far tornare le aziende a produrre. Per farlo è assolutamente necessario tagliare drasticamente la spesa pubblica, proprio come avvenuto in Inghilterra.
Cosa bisognerebbe fare?
I britannici hanno licenziato mezzo milione di dipendenti pubblici. Dopo circa nove mesi, la disoccupazione risultava non in aumento di 500mila unità, ma in calo di un milione e mezzo. Tagliare il numero di dipendenti pubblici significa tagliare anche le tasse, sia sulle aziende che sui cittadini, quindi si torna a produrre e a creare posti di lavoro. In questo momento i politici italiani sono così presi dal dibattito Renzi-Letta che evitano di discutere di questo modello inglese che, già da domani, potrebbe cambiare radicalmente la situazione.
Friedman parla anche della possibilità di emettere obbligazioni per 50 miliardi l’anno attraverso un fondo in cui far confluire 400 miliardi di beni pubblici, tra cui le partecipazioni statali (tipo Eni, Enel, Finmeccanica). Cosa ne pensa?
In realtà, si tratta di una mia proposta che tra l’altro è stata ripresa proprio dal Corriere della Sera che l’ha inserita integralmente nella propria sezione economica. Si basa essenzialmente su questo: si isolano 400 miliardi di edifici pubblici da trasferire a un’agenzia di proprietà statale, la quale comincia ad affittarli commercialmente. Ogni volta che viene affittato un blocco di edifici si emettono obbligazioni contro questo flusso di reddito, così da abbattere il debito pubblico di 400 miliardi senza che sia coinvolto il Tesoro.
È un piano che l’Italia può effettivamente attuare?
Avrebbe dovuto farlo almeno nove anni fa, ma ovviamente il Tesoro non ci pensa perché il direttore generale (Vincenzo La Via, ndr) preferisce guadagnare tre volte in più del suo collega di Washington, il quale è responsabile di una economia che è undici volte più grande. Questo mi riporta al fatto che licenziare dipendenti pubblici in Italia farebbe risparmiare davvero tantissimi soldi e sarebbe un intervento molto più efficace che in Inghilterra, visti i salari pubblici esorbitanti italiani.
Friedman scrive: “Riduciamo il debito, risparmiamo soldi sugli interessi del nostro debito, costringiamo le banche a sottoscrivere le nuove obbligazioni per la metà e piazziamo il resto a investitori italiani e internazionali. Così riacquistiamo il nostro posto sul palco dell’Europa e poi facciamo sì la voce grossa con la Merkel, ma solo quando siamo credibili”. Serve davvero questo per farsi ascoltare dall’Europa?
Innanzitutto l’espressione “fare la voce grossa” mi sembra piuttosto mussoliniana. Inoltre, costringere le banche a fare questo significa affondare del tutto una situazione già disastrata. Fa sorridere poi che l’Italia possa fare “la voce grossa” con la Merkel con qualche semplice manovra, soprattutto dopo quello che è successo con il caso Cancellieri e non solo. Come ho detto, bisogna intervenire sui dipendenti pubblici e utilizzare ogni risorsa per tagliare le tasse e quindi rilanciare l’economia. Solo così, dimostrando un impegno concreto, l’Italia potrà riaffacciarsi in Europa.
(Claudio Perlini)