Solitamente si è abituati a vedere in piazza operai, cassaintegrati o disoccupati. Ieri invece a Roma è sceso in piazza, per gridare il suo sdegno, chi il lavoro ce l’ha e vorrebbe mantenerlo. Si tratta dei piccoli commercianti e degli artigiani, lavoratori – che sovente a loro volta danno lavoro ad altri lavoratori – vessati dalle troppe tasse, dai costi dell’energia sempre più crescenti, da una burocrazia lunga e farraginosa, dai tempi sempre più lunghi della Pubblica amministrazione per i rimborsi. Le loro aziende rischiano di chiudere.



Le aziende con meno di dieci addetti costituiscono il 95% delle imprese italiane. Eppure Monti e Letta le hanno prese di mira: la Cgia di Mestre, mettendo a confronto i livelli del 2013 con quelli del 2012, ha dimostrato come lo scorso anno (2013) le micro imprese fino a dieci addetti hanno subìto un aggravio fiscale che oscilla tra i 270 e i 1.000 euro. Aggravi che sono andati ad aggiungersi a un livello di tassazione complessivo che per le attività di questa dimensione si attesta mediamente tra il 53% e il 63%.



Queste micro imprese producono il 31,4% del Pil e il 7% dell’export nazionale e danno lavoro al 47,2% degli addetti. Tra il 2001 e il 2011 hanno creato il 56,7% dei nuovi posti di lavoro. Come sottolineato dal segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, gli aumenti di tassazione registrati negli ultimi anni sono da attribuire, in particolar modo, all’aumento dei contributi previdenziali in capo ai lavoratori autonomi, all’introduzione dell’Imu e della Tares. Questi aggravi sono stati attenutati dal decreto “Salva Italia”, che ha previsto la deducibilità dal reddito di impresa dell’Irap relativa al costo del lavoro, e dalla Legge di stabilità del 2013, che ha ulteriormente elevato le deduzioni Irap legate al numero di dipendenti.



Gli analisti della Cgia di Mestre hanno riscontrato che all’aumentare del numero dei dipendenti diminuisce lo svantaggio fiscale. Oltre la soglia dei dieci dipendenti la situazione si inverte: nel rapporto tra dare e avere col Fisco, le aziende cominciano a guadagnare. Peccato però che al di sotto di questa soglia troviamo il 95% delle imprese italiane. Ma che coincidenza…

Per fare alcuni esempi, un artigiano che lavora da solo e ha un reddito annuo di 35mila euro, nel 2013 ha pagato 319 euro in più rispetto al 2012, e ha versato allo Stato e agli Enti locali 18.564 euro (la pressione fiscale è al 53%). Anche per l’anno in corso le tasse sono destinate ad aumentare: nel 2014 pagherà 154 euro in più e, rispetto al 2011 (ultimo anno di applicazione dell’Ici), l’aggravio sarà di ben 1.216 euro.

Un commerciante senza dipendenti e con un reddito annuo di 30mila euro, nel 2013 ha versato 329 euro in più rispetto al 2012. Tra tasse, imposte e contributi ha pagato complessivamente 15.882 euro (anche in questo caso la pressione fiscale è quasi al 53%). Nel 2014 il peso fiscale è destinato ad aumentare di altri 184 euro. Se il confronto viene fatto tra il 2014 e il 2011, la maggiore tassazione a suo carico è di 1.362 euro. L’Ufficio studi della Cgia evidenzia che oltre il 70% degli artigiani e dei commercianti presenti nel nostro Paese lavora da solo.

Per un’impresa artigiana composta da due soci e cinque dipendenti, e con reddito annuo di 80mila euro, il peso fiscale nel 2013 ha sfiorato il 59%: l’aggravio per le imprese artigiane è stato di 273 euro rispetto all’anno precedente. Complessivamente, il carico di tasse e imposte versate è stato pari a 46.882 euro. Nel 2014 ci sarà un ulteriore incremento di 423 euro. Se il confronto viene fatto tra il 2014 e il 2011, l’inasprimento sarà di 1.191 euro.

Se consideriamo una piccola impresa con due soci e dieci dipendenti e un reddito di 100mila euro al lordo dei compensi degli amministratori, la pressione fiscale ha toccato il 63,4%. Rispetto al 2012 ha pagato 1.022 euro in più, mentre quest’anno il conto salirà di altri 285 euro. L’ammontare delle tasse e dei contributi versati nel 2013 è stato pari a 63.424 euro circa. Tra il 2014 e il 2011, l’inasprimento sarà pari a 2.016 euro.

Bastano questi numeri per capire come il cuore dell’Italia rischia di smettere di pulsare. Oltre al danno la beffa: diversamente dai lavoratori dipendenti, in caso di crash per un commerciante/artigiano non è presente nessuna forma di sussidio. Davvero, è il caso di dire, i figli di un dio minore… e pensare che ai nostri giovani precari continuiamo a ripetere che “ognuno deve essere imprenditore di se stesso”. Sarebbe molto interessante definire e istituzionalizzare il concetto di “impresa” e capire se è essa o meno a creare lavoro. Perché se così è, se è l’impresa a creare lavoro e non lo Stato, forse le condizioni per fare impresa in questo Paese vanno riviste: i casi Fiat, Bridgestone ed Electrolux parlano chiaro.

Che dire, l’Italia va proprio rivoltata come un calzino…

 

In collaborazione con www.think-in.it