Le esportazioni italiane nel 2013 rimangono sostanzialmente invariate nonostante la crisi della domanda in tutti gli Stati Ue e il rallentamento dei Paesi emergenti. In complesso l’andamento dell’export del nostro Paese registra un -0,1%, mentre nello stesso periodo le importazioni calano del 5,5%. È quanto emerge dall’ultimo rapporto Istat, secondo cui l’andamento delle esportazioni risulta in aumento verso i Paesi extraeuropei (+1,3%) e in diminuzione verso quelli Ue (-1,2%). Diversi organi di stampa hanno letto la notizia in chiave negativa, sottolineando che si tratta del peggiore risultato dal 2009. Per Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, «la lettura allarmistica dei dati Istat fatta da alcuni quotidiani non ha alcun senso. L’Italia è tra i primi cinque Stati al mondo per surplus manifatturiero, ed è indiscutibile che il nostro Paese continui a essere un forte esportatore».



Eppure per la prima volta le esportazioni segnano complessivamente un’inversione di tendenza. Come interpreta questo dato?

La notizia secondo cui la dinamica delle esportazioni italiane segnerebbe il peggior risultato dal 2009 non ha alcun senso, perché il 2013 è stato l’anno più difficile per l’intero commercio mondiale, tanto è vero che anche le esportazioni tedesche sono ferme. Il 2013 non sarà però ricordato come un anno negativo per il commercio estero dell’Italia, in quanto abbiamo realizzato il più grande surplus manifatturiero della storia nazionale, pari a ben 98,3 miliardi di euro, con un saldo attivo di 85 miliardi al netto dei prodotti energetici. Il precedente record, raggiunto nel 2012, era pari a 93 miliardi.



Ma il motivo per cui il surplus aumenta non è che le importazioni scendono?

Il notevole incremento del surplus è stato determinato anche da un calo dell’import, ma sta di fatto che le importazioni del sistema manifatturiero sono rimaste agli stessi livelli del 2012. L’Italia ha tenuto le sue quote di commercio, soprattutto rispetto agli altri Paesi Ue, e ha prodotto dei rilevanti surplus commerciali. Questi ultimi sono stati pari a 18,4 miliardi per il settore tessile e moda, 49,3 miliardi per macchine e apparecchi, 12,2 miliardi nei mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli e 10,3 miliardi per i prodotti in metallo.



Qual è il valore di questi dati?

Quello che emerge dai dati del 2013 è un sistema manifatturiero molto forte che ha tenuto i livelli delle esportazioni del 2012, nonostante per l’Europa l’ultimo anno sia stato molto difficile. Si sono molto ridotti gli scambi intracomunitari, e a fine anno c’è stato un rallentamento anche per quanto riguarda i Paesi emergenti come Turchia, Cina e India. Nonostante ciò, in termini percentuali l’andamento delle esportazioni dell’Italia è stato al passo della Germania, e ciò documenta che l’export è una delle poche cose che funzionano ancora nel nostro Paese. Continuiamo a essere la seconda nazione in Europa per surplus manifatturiero, e uno dei cinque Stati del G20 ad avere un surplus al di sopra dei 100 miliardi di dollari.

 

Come sono andate le esportazioni dell’Italia nei confronti dei nostri principali partner commerciali?

Nel 2013 l’Italia ha avuto dei surplus commerciali bilaterali decisamente imponenti soprattutto nei confronti di alcuni paesi. Il surplus con gli Stati Uniti è stato pari a 15,5 miliardi, con la Francia è stato di 11,9 miliardi, con il Regno Unito di 10 miliardi, con la Svizzera di 9,9, con il Giappone di 3,4, con la Turchia di 4,6, con le economie dinamiche dell’Asia (Cina esclusa) di 7,9.

 

Insomma non va dato eccessivo peso a un calo complessivo dello 0,1%?

Il -0,1% è un calo impercettibile, ed è la conseguenza di due diverse dinamiche. L’export nei confronti dei Paesi extra-Ue ha continuato a crescere, raggiungendo il +1,3%, mentre verso i paesi europei si è registrato un calo non tanto per una perdita di competitività, quanto per il fatto che il mercato Ue è stato meno dinamico e ricettivo in conseguenza dell’austerità. L’avanzo commerciale totale ha raggiunto i 30,4 miliardi di euro.

 

(Pietro Vernizzi)

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