Bisogna aggiornare le priorità degli interventi economici. Ovviamente le facilitazioni fiscali per aumentare gli occupati e i redditi dei dipendenti allo scopo di rilanciare i consumi restano nelle prime posizioni. Ma le analisi più recenti mostrano che il motivo principale della grave recessione 2012-13 e della ripresa poca e lenta, nonché del rischio di ritorno in recessione, è dovuto alla restrizione del credito: in un triennio ci sono stati circa 95 miliardi in meno, in relazione agli anni precedenti, di crediti erogati a famiglie e imprese.



Le tasse sugli immobili hanno certamente contribuito alla crisi del settore, ma questo è stato, e resta, depresso dalla riduzione dei mutui alle famiglie. Sul piano della crisi delle imprese, in particolare le decine di migliaia più piccole, l’incidenza della restrizione del credito, e dell’aumento dei costi di quello erogato, è perfino più evidente. Da questa area dell’economia viene il grosso della nuova disoccupazione. Perché le banche hanno ristretto il credito in quantità così rilevanti e non lo stanno ripristinando nei volumi che servirebbero?



Non per loro volontà in quanto meno impieghi significano meno profitti, ma per una crisi generale del sistema finanziario italiano, dovuta a: (a) difficoltà e costi elevati nella raccolta dei capitali dal 2011 in poi a causa del rischio Paese, cioè al declassamento dell’affidabilità del debito italiano; (b) aumento dei crediti deteriorati che implica, in base i requisiti della vigilanza bancaria, l’uso di più capitale per coprire i rischi di insolvenza e quindi meno per il credito; (c) maggiore selettività per i nuovi prestiti; (d) incentivazione da parte della Bce a comprare titoli di debito statale a scapito di impieghi nel credito.



Da un lato, in Italia non c’è una vera e propria crisi bancaria, ma per evitarla è stato ristretto oltre misura il credito. Poiché, diversamente da tutte le altre nazioni comparabili, l’economia italiana dipende quasi totalmente dal credito bancario e non da altre forme di finanziamento, l’impatto è stato, e resta, devastante. In sintesi, se il governo vuole intervenire sui veri motivi di blocco della ripresa deve agire prima di tutto sul risanamento del credito.

Come? Per esempio, un fondo di garanzia pubblico, tra i 20 e 30 miliardi, capace di coprire almeno al 70% il rischio del prestito di una banca a un’impresa, permetterebbe alla banca stessa di erogare denaro entro i limiti prudenziali e all’impresa di ripartire. Altri interventi sono possibili, ma devono essere fatti presto in priorità parallela, o perfino superiore, a quella di alleggerimento fiscale.

 

www.carlopelanda.com