Il rialzo del cambio dell’euro sul dollaro, ora vicino allo 1,40, preoccupa molto perché, riducendo la competitività valutaria delle esportazioni italiane, potrebbe compromettere la già stentata ripresa e perfino riportare l’economia italiana in recessione. Il sistema industriale con capacità esportative contribuisce per circa un quinto al Pil complessivo. Il restante 80% dipende da dinamiche del mercato interno ancora “piatte” o residualmente recessive a causa dell’eccessivo carico fiscale e della restrizione del credito che deprimono consumi e investimenti.



Se viene a mancare l’impulso dell’export non c’è altro che possa spingere la crescita, a meno che il governo non tagli spesa e tasse per decine di miliardi, ma appare improbabile nel breve-medio termine. Va detto che l’euro alto ha il vantaggio di ridurre il prezzo delle importazioni. Ma nell’analisi costi/benefici un cambio euro/dollaro che superi l’1,30 è certamente uno svantaggio grave, sistemico, per l’Italia. Quello perfetto sarebbe attorno allo 1,20.



Quanto durerà il cambio de-competitivo? Il cambio viene influenzato dai flussi globali di capitale. Da qualche mese questi stanno abbandonando gli investimenti nei paesi emergenti a favore dell’Eurozona perché considerata densa di valori sottovalutati a un basso livello di rischio. Pertanto era ed è normale un breve periodo di picco del cambio. Ma sta durando troppo a causa di una posizione incomprensibile da parte della Bce: tiene una politica monetaria deflazionista, pur in assenza di inflazione, che rende l’euro più forte del dollaro.

Ciò è un’anomalia in quanto il dollaro, poiché espressione di un’economia sana e in crescita, dovrebbe essere più forte e quindi aumentare il suo valore di cambio sull’euro. Inoltre, il dollaro è alla fine del ciclo delle misure reflazionistiche straordinarie che lo hanno indebolito negli ultimi anni mentre l’euro, vista la crescita bassa dell’Eurozona, dovrebbe essere all’inizio e quindi, in prospettiva, indebolirsi, come previsto da tutti gli analisti. Ma non sta iniziando, con il rischio di mandare l’Eurozona in deflazione/depressione.



Motivi? Di tecnici non ce ne sono e quindi sono politici: la Bce è bloccata dal “criterio tedesco” che vuole, irrealisticamente, la moneta forte indipendentemente dalle conseguenze economiche. In conclusione: la situazione tecnica fa prevedere una riduzione prossima del cambio dell’euro, ma quella politica no. Pertanto appare motivato segnalare un problema di indipendenza della Bce dalla (geo)politica e invocare un gesto che la confermi.

 

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