«La ricetta di Matteo Renzi per far ripartire l’industria non coglie il problema alla radice. Ciò di cui c’è bisogno è di rilanciare la domanda, non di tagliare l’Irap di qualche punto e di elargire contributi a pioggia». È la critica di Luciano Gallino, sociologo, esperto di mercato del lavoro e autore del libro “Il colpo di Stato di banche e governi”. Al primo punto nella ricetta di Renzi c’è la scelta di ridurre l’Irap del 10% alle aziende private per 2,4 miliardi. Un’altra novità riguarda gli sconti sull’elettricità per le Pmi, che dal primo maggio calerà del 10%.



Professor Gallino, qual è il senso delle soluzioni messe in cantiere da Renzi?

Lo sconto del 10% sull’Irap è una boccata d’ossigeno, ma se pensiamo che sia qualcosa di degno del nome di politica industriale siamo lontanissimi. Renzi dimostra di non cogliere il problema alla radice. Il motivo per cui le imprese non assumono non è che il personale costa un po’ di più o un po’ di meno, ma che la domanda aggregata è molto carente. Le imprese investono e assumono quando hanno la certezza di una domanda crescente. Quest’ultima non c’è, e sicuramente non sarà lo sconto Irap alle imprese del 10% o gli 80 euro in busta paga in più che muoveranno le cose in questo senso.



Come valuta invece le altre proposte di Renzi per l’industria come gli sconti sull’energia?

Si tratta di interventi a pioggia che possono fare spuntare qua e là un cespuglio o una pianticella, ma affinché vengano su alberi robusti in termini di domanda aggregata o di ripresa occorre piantarli direttamente e non aspettare che crescano.

Come può fare Renzi per trovare le coperture per i suoi provvedimenti?

Questa domanda andrebbe posta al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Quanto si è visto finora è o molto fumoso o molto preoccupante. Lo Stato italiano spende molto meno di quanto preleva sottoforma di tasse e imposte. Se riduciamo la spesa pubblica di altri 30-32 miliardi, ciò significherà un passo sicuro verso un ulteriore peggioramento della recessione. Si è diffusa questa immagine incredibile tale per cui la spesa dello Stato sarebbe qualcosa di negativo. Ma la spesa dello Stato significa scuole, insegnanti, strade, illuminazione, trasporti pubblici e altri servizi indispensabili per una vita civile. A forza di tagli la prospettiva è quella di un peggioramento crescente della situazione del nostro Paese.



La domanda dell’industria italiana si rilancia con misure keynesiane?

Le possibili soluzioni keynesiane sono tante e diverse. In questa fase la spesa pubblica dovrebbe aumentare e non diminuire. Ci troviamo di fronte alla combinazione di tre fattori, ciascuno dei quali sarebbe di per sé sufficientemente negativo: una forte deflazione, con una caduta generalizzata del livello dei prezzi; una domanda aggregata stagnante o in netta diminuzione; una crescita da prefisso telefonico allo 0,6%. La combinazione di questi tre indicatori è molto preoccupante. L’idea di tagliare la spesa in momenti di recessione è certamente una pessima ricetta.

 

Qual è invece la ricetta che propone?

Occorre trattare con durezza con l’Unione europea, e soprattutto c’è bisogno di una politica industriale, mentre al contrario negli ultimi 15-20 anni il nostro Paese è stato deindustrializzato a partire dalle privatizzazioni dell’apparato pubblico in cambio di pochi soldi. Lo Stato italiano quest’anno spenderà 95 miliardi di interessi sul debito, che supera i 2mila miliardi. Se non si isola la spesa per interessi da quella di bilancio, lo Stato continuerà ad aumentare le tasse, ma restituirà sempre meno. Ormai restituisce in servizi circa solo il 70% di quanto incassa in imposte, e questa rappresenta una ricetta suicida dal punto di vista economico.

 

(Pietro Vernizzi)