Sul piano dei cambi l’euro è ai massimi storici, cosa che sta creando notevoli problemi alle nostre esportazioni.Per Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, la cosa più grave è «la debolezza delle principali monete che fanno da contrappunto, il dollaro e lo yen, che in questo momento soffrono drammaticamente l’eccesso di liquidità che è stata pompata nei sistemi dei rispettivi». Siamo in una situazione paradossale: «L’Europa doveva diventare il mercato più ricco del mondo, con la moneta più autorevole. Invece abbiamo una moneta che nel paniere mondiale è entrata ma è anche uscita, visto che la gente ha preferito tornare al dollaro. Oggi l’area più ricca del mondo, grazie all’austerità, non è più ricca come prima e ha molti problemi. In più abbiamo il tasso di cambio forte. Avessimo almeno il tasso di cambio debole… Invece abbiamo l’austerità, siamo diventati più poveri, la nostra moneta non è stimata come il dollaro e tuttavia vale più del dollaro».
L’euro è ai massimi storici e sta creando grossi problemi alle nostre esportazioni. È una situazione momentanea o dobbiamo imparare a conviverci?
In realtà l’euro era molto forte sul piano del cambio anche due anni fa quando si pensava che non avrebbe avuto futuro. Anche allora valeva sempre più del dollaro. Ma il problema non è tanto la forza dell’euro.
Qual è il vero problema?
Piuttosto la debolezza delle principali monete che fanno da contrappunto, il dollaro e lo yen, che in questo momento soffrono drammaticamente l’eccesso di liquidità che è stata pompata nei sistemi dei rispettivi paesi. Che praticamente hanno stampato carta per anni e anni. Abbiamo due paesi – Stati Uniti e Giappone – che hanno scelto la linea dell’eccesso di liquidità, peraltro con buoni risultati sul piano della ripresa economica rispetto a quello che si sta verificando in Europa. Tuttavia queste iniezioni di liquidità hanno come contraltare una forte debolezza di queste monete. In più..
In più?
Se a questo aggiungiamo che negli ultimi mesi i paesi emergenti hanno conosciuto crisi molto forti e ci sono state svalutazioni a catena, otteniamo un duplice effetto: se è vero che queste monete si sono svalutate rispetto a tutti i paesi è anche vero che la svalutazione più cospicua l’hanno avuta nei confronti dell’euro. Una fortuna però ce l’abbiamo.
Quale sarebbe?
In molti casi oggi le nostre produzioni non competono più con quelle dei paesi emergenti. Adesso siamo nelle fasce alte di prodotto. Ed è ovvio che quando un cinese o un russo vuol comprare una borsa di lusso o un paio di scarpe di lusso non va a vedere il tasso di cambio! Se vuole quelle, sono solo italiane, non può comprarne di tedesche perché non esistono. Anche nei settori della meccanica, dove gli unici concorrenti sono i tedeschi: ma anche i tedeschi hanno l’euro come noi. Non dico che sia una condizione comoda perché abbiamo ancora tante produzioni di base, soprattutto nella metalmeccanica e nella metallurgia, che soffrono questo cambio così forte. Fortunatamente non tutto il fronte dei nostri settori è così vulnerabile. Una cosa però è certa.
A cosa si riferisce?
L’Europa con un tasso di cambio così forte difficilmente potrà continuare a competere nelle produzioni dove i margini sono spalmati su grandi volumi, come ad esempio nella metallurgia o nella chimica di base perché si rischia di avere un effetto di spiazzamento determinato dal cambio. C’è anche un altro rischio.
Che rischio?
Il rischio che il piano per il rilancio della manifattura annunciato in pompa magna un paio di mesi fa dal Commissario Tajani, con un tasso di cambio del genere, fallisca. Tutti i compact che sono stati fatti sembrano non tenere conto della realtà.
Cosa intende, scusi?
Il fiscal compact fa già un bello sgambetto diciamo all’industrial compact. Ma anche il tasso di cambio gioca decisamente contro l’industrial compact, perché o sei nelle nicchie dove non conta il prezzo ma conta quello che offri altrimenti tutte le produzioni intermedie che risentono delle oscillazioni del cambio faranno fatica a sopravvivere. Anche questo purtroppo non favorisce l’Europa. E non favorisce neanche la ripresa. Tornando all’export…
Prego.
Se l’export, che potrebbe essere una componente importante in un momento in cui la domanda interna è schiacciata dall’austerità, incontra questi ostacoli del cambio, è ovvio che la ripresa sarà ancora più difficile.
In questa condizione sarebbe auspicabile un intervento della Bce?
Non vedo come Draghi possa metterci una pezza dal momento che non è il suo mestiere. Non possiamo sperare in una svalutazione dell’euro, che non è prevista dallo statuto della Bce. Ma è molto difficile che Draghi possa utilizzare altre leve: oltre a tenere bassi i tassi – che sono già bassissimi – non è che possa far molto. Si è creata una situazione paradossale
A cosa si riferisce?
L’Europa doveva diventare il mercato più ricco del mondo, con la moneta più autorevole. Invece abbiamo una moneta che nel paniere mondiale è entrata ma è anche uscita, visto che la gente ha preferito tornare al dollaro. Oggi l’area più ricca del mondo, grazie all’austerità, non è più ricca come prima e ha molti problemi (disoccupazione, ecc). In più abbiamo il tasso di cambio forte. Avessimo almeno il tasso di cambio debole… Invece abbiamo l’austerità, siamo diventati più poveri, la nostra moneta non è stimata come il dollaro e tuttavia vale più del dollaro: è una situazione veramente paradossale. La situazione è abbastanza paralizzata.
Quanto potranno reggere le nostre imprese in queste condizioni?
Fortunatamente le imprese italiane hanno una capacità d adattamento straordinaria; riescono addirittura ad avere delle mutazioni genetiche nella stessa generazione – in pratica riescono a cambiare mentre sono in vita. Lo abbiamo visto quando è arrivata la Cina che ci ha massacrato i settori di base, senza che l’Europa si preoccupasse minimamente di difenderci. Allora le nostre imprese si sono messe a fare mestieri diversi: chi era nella moda e nella casa è passato nel lusso, chi era nel settore della meccanica si è specializzato in una meccanica di nicchia. E tutto questo nel 2013 ci ha permesso di arrivare a 98 miliardi di euro di surplus manifatturiero con l’estero.