Quando entrerà in azione il bazooka della Bce? “È solo questione di tempo”, assicura da Washington Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale, da sempre convinta che la Bce, colpevolmente, sottovaluti il pericolo deflazione. Il Consiglio direttivo della Bce, replica a distanza il Bollettino Economico di Francoforte, “è fermamente determinato a mantenere un elevato grado di accomodamento della politica monetaria e a intervenire con prontezza, se necessario”. Anzi, il direttorio dell’istituto è “unanime nel suo impegno a ricorrere anche a strumenti non convenzionali nell’ambito del suo mandato per fare fronte con efficacia ai rischi di un periodo troppo prolungato di bassa inflazione”.
Parole forti dall’effetto debole. Sui mercati azionari europei l’effetto degli interventi retorici della Bce si è esaurito ieri nello spazio di ore in parallelo alla discesa del dollaro contro l’euro. Tutt’altro clima, insomma, rispetto all’euforia di una settimana fa, quando i mercati si erano a torto convinti che l’intervento della Bce fosse ormai dietro l’angolo. Al contrario, la situazione si presenta, al solito, complessa. Vediamo come e perché.
A) La maggior parte degli operatori interpellati da Bloomberg è convinta che la Bce agirà a giugno o, più facile, a luglio quando la banca centrale avrà a disposizione i dati del secondo trimestre dell’eurozona. In una situazione come quella attuale, fa notare Wolfgang Munchau del Financial Times, il trimestre può valere come un secolo: la deflazione, a differenza dell’inflazione, può implodere con molta rapidità, ma, una volta scoppiato il bubbone, la terapia sarà senz’altro lunga e complicata. Mario Draghi ne è senz’altro consapevole, ma deve tener conto dell’orientamento della classe politica tedesca: il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaueble, continua a sostenere che non esiste il rischio deflazione. Anzi, le vacanze di Pasqua potrebbero registrare la prima ripresa dei prezzi. Guai a confondere, è la tesi tedesca, il riequilibrio necessario dei conti di Italia e Spagna (con il conseguente calo dei redditi e dei consumi) con la deflazione.
B) Draghi non è affatto convinto che uno stimolo finanziario qualsiasi sia la cura più efficace. Il vero problema consiste nel far arrivare la liquidità alle imprese, specie quelle piccole e medie. Il calo dei tassi di mercato, infatti, ha favorito i soggetti economici più importanti (la Fiat ha raccolto quattrini al 4,25%, due punti base in meno del 2013). Negli ultimi trimestri, si legge sul Bollettino della banca centrale, è infatti cresciuta l’emissione netta di titoli di debito da parte di società non finanziarie, ma “l’accesso ai mercati dei titoli di debito è, in larga misura, limitato alle imprese di grandi dimensioni”. Né hanno avuto grande successo gli esperimenti della Bank of England di incentivare, grazie a sconti fiscali e sul conto della provvista, le banche che si sono rivelate più sensibili alle richieste di impieghi delle aziende piccole e medie. Lo stesso Qe all’americana rischia di essere assai meno efficace che in Usa. La Fed, infatti, ha concentrato i suoi interventi per metà sui titoli di Stato, il resto sugli Asset backed securities, ovvero gli strumenti finanziari emessi a fronte di cartolarizzazioni di prestiti su mutui, carte di credito, prestiti auto. Ma le cose per la Bce sono più complicate. Quali titoli di Stato comprare? Occorre intervenire nei paesi a rischio deflazione più elevato oppure sarà necessario distribuire gli acquisti pro-quota, tenendo conto del Pil dei vari membri dell’area euro? Se si sceglierà, com’è probabile, la seconda strada gli acquisti si concentreranno sulla Germania, ovvero il Paese ove meno si avverte la crisi di liquidità.
C) Per quanto riguarda gli Abs e altri tipi di derivati, il mercato europeo si è fortemente contratto dopo la crisi dei subprime. Nel corso del 2013 sono stati emessi nel Vecchio Continente Abs per 180,9 miliardi di euro, con un calo del 40% rispetto al 2012, già in calo rispetto al 2011, a sua volta in declino rispetto al 2010. Oggi il mercato degli Abs con un rating pari o superiore a BB- ammonta a 513 miliardi di euro, per lo più agganciati a mutui immobiliari. Insomma, un mercato troppo ristretto che complica (e non di poco) il varo di un Quantitative easing europeo. Mettiamo il caso che la Banca centrale europea voglia ripetere l’esperienza della Fed che si è posta un target di intervento nell’ordine del 10% del mercato. La Banca centrale potrebbe comprare non più di 50 miliardi di Abs, un impatto pari più o meno al 5% della cifra che, secondo le simulazioni dell’istituto di Francoforte riportate dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung (erroneamente recepite come “il piano” della Bce), sarebbe necessario per far salire l’inflazione nell’area euro tra lo 0,2% e lo 0,8%. È un problema grave, ben noto a Draghi. “Noi pensiamo – ha detto – che la rivitalizzazione di un certo tipo di Abs, cioè dei cosiddetti plain vanilla capaci di impacchettare prestiti sia di origine bancaria che di altri emittenti e idonei a essere scambiati sui mercati dopo esser stati dotati di un rating, possono rappresentare un strumento molto importante sia per rivitalizzare i flussi di credito che per dare forza alla nostra politica economica”. Tutto giusto, ma ci vorrà tempo. Probabilmente troppo tempo per un intervento efficace.
D) I mercati, di fronte a questi argomenti, cominciano a temere che le armi della Bce siano spuntate. O che, in ultima analisi, si limitino alla moral suasion di Mario Draghi. Ma non fanno i conti con la politica internazionale, ovvero la ragione che ha spinto la Bundesbank ad aprire alla possibilità di strumenti inediti e innovativi con l’obiettivo esplicito ri-evitare l’eccessiva rivalutazione dell’euro. Alla Germania poco importa del rischio deflazione nel sud Europa. Né, fino a pochi mesi fa, ha prestato troppa attenzione alla tenuta dell’euro forte, inevitabile visto che l’Europa vanta un forte surplus commerciale nei confronti di tutte le aree del pianeta. Ma le cose sono cambiate con la crisi ucraina che ha introdotto elementi di grande incertezza per l’export di Berlino (la Russia è il primo mercato di autoveicoli europei) e sul costo dell’energia, il tallone d’Achille tedesco dopo la rinuncia al nucleare e gli incentivi alle rinnovabili. La Germania, che non intende di sicuro inasprire le sanzioni nei confronti di Mosca è peraltro consapevole che nessuno ha il pieno controllo degli eventi. È senz’altro una forzatura legare i tempi e le modalità del Qe europeo al fattore K come Kiev. Ma la sensazione è che, oggi come nel 2012, sarà la Merkel ad avere l’ultima parola sulle scelte monetarie della Bce. A Draghi il compito di sfruttare, come nel 2012, le tensioni politiche (allora il collasso di Atene, oggi l’emergenza a Est) per spingere la Bce su una strada più espansiva.