«La Bce intervenga con una politica espansiva per dare risposte a un’economia che non cresce». È l’invito di Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino, nella giornata in cui Eurostat ha confermato che l’inflazione nell’Eurozona a marzo è scesa al +0,5%, dal +0,7% di febbraio, ai minimi dall’ottobre 2009. Basti pensare che un anno fa il dato era al +1,7%. Mario Draghi ha già spiegato che la Bce è pronta a intervenire, ma al momento non vede rischi deflattivi.



Professore, che cosa dovrebbe fare la Banca centrale europea?

La risposta standard che tutti dovrebbero dare è che la Bce deve seguire una politica moderatamente espansiva. La vera questione aperta è piuttosto un’altra, e cioè se la Bce debba intervenire subito o successivamente. Attraverso le aste Ltro di due anni fa, la Bce aveva erogato circa mille miliardi di euro alle banche a tassi molto bassi. Poi si è visto che questi mille miliardi non sono stati usati se non in piccola parte per fare ulteriore credito, bensì, soprattutto in Italia, per rafforzare il capitale e per comprare titoli di Stato.



In che modo nel frattempo è cambiato lo scenario?

Ora che si è rafforzato il capitale, la Bce ha studiato degli strumenti tali per cui questi soldi sono dati alle banche a condizione che queste ultime li prestino alle imprese. Bisogna riuscire a inventare un percorso protetto per questi soldi in modo che non prendano altre direzioni, cioè che non vadano a investimenti puramente speculativi. Questa è un’operazione complessa che richiede il benestare dei tedeschi, i quali fino a un mese fa si erano opposti. In seguito c’è stata la dichiarazione di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, il quale ha manifestato un’apertura a operazioni di questo tipo. La prospettiva europea è quella di una crescita estremamente contenuta, e quindi anche in Germania si sono accorti che sarebbe meglio crescere un po’ di più.



Fino a che punto l’Italia è a rischio deflazione?

La deflazione per il momento non c’è. Il rischio deflazione è soltanto un’invenzione di chi è alla ricerca a tutti i costi di un mostro da sbattere in prima pagina. Per comprenderlo bisognerebbe andare a vedere la cosiddetta “inflazione core”, che si calcola eliminando le due o tre voci più volatili. Per esempio, di fronte a un mercato petrolifero internazionale molto instabile, questo si riflette sull’inflazione nazionale, ma è un segnale di disturbo che non permette di cogliere il valore reale del costo del denaro.

 

Che cosa emerge analizzando solo i dati “core”?

In questo modo emerge che l’inflazione tanto dell’Ue quanto dell’Italia nella realtà è molto stabile. I prezzi degli elementi più volatili sono scesi nettamente, ma la situazione complessiva ha una componente molto forte di stabilità. I prezzi aumentano in modo molto modesto e forse potrebbero essere un po’ più alti, ma al momento attuale non danno vere ragioni di preoccupazione. Il valore dei prezzi è uno degli elementi del quadro di cui tenere conto, ma non dobbiamo aspettarci che domani scoppi la deflazione.

 

Lei prima ha parlato delle aste Ltro di due anni fa con prestiti triennali alle banche all’1%. Che cosa ritiene che non abbia funzionato?

Non ho detto che le aste Ltro non abbiano funzionato, ma che il sistema allora aveva delle priorità sia pure ragionevoli ma comunque diverse da quelle attuali. Numerose banche erano sottocapitalizzate e quindi a rischio. Le banche centrali dei vari paesi hanno spinto i loro istituti di credito in primo luogo a mettere al sicuro la rispettiva capitalizzazione. Là dove le banche avevano emesso titoli di debito, sono state fatte delle riserve o si sono riacquistati i debiti sul mercato. È stata data inoltre la priorità non a imprese e consumatori, bensì ai buoni del Tesoro.

 

(Pietro Vernizzi)