Il miliardario americano Seth Klarman è uno dei maestri indiscussi nella difficile arte del contrarian, cioè nella gestione di portafoglio impermeabile alle mode e ai trend in voga. La sua strategia, che gli ha consentito guadagni formidabili dalla crisi del 2008 in poi, consiste nel detenere buona parte dei capitali amministrati (attorno ai 22 miliardi di dollari), anche fino al 50%, in liquidità. Salvo poi colpire in contropiede su titoli o temi di mercato sottovalutati in linea con una regia che sembra fatta apposta per colpire le decisioni di investimento troppo convinte: cambi di rotta “epocali”, secondo la recente esperienza, sono durate pochi mesi, come il ribasso degli Emergenti o la caduta dei rendimenti obbligazionari. La “bolla” del Nasdaq, più volta annunciata, non si è ancora verificata.
Il motivo? La tesi di Klarman è che dopo la catastrofe del 2008 quello che resta delle nostre economie (tra cui figura anche lui, ben deciso a non farsi cogliere impreparato dal collasso senza un’abbondante dose di cash) è stato messo sotto una grande cupola di plexiglass virtuale. Da allora viviamo in un idilliaco Truman Show globale dove tutto sembra funzionare per il meglio e dove ci viene impedito di farci del male. I mercati salgono, tutti sono ottimisti e sereni, i tassi sono a zero, la liquidità è abbondante e i pochi scettici sono benevolmente irrisi e considerati simpatici mattacchioni. La differenza rispetto al film è che a essere manipolato e anestetizzato non è solo il povero Truman, ma tutto il mondo che vive sotto la cupola. Ma, prima o poi, la finzione cadrà da sola.
La metafora serve a esaltare il ruolo dei registi dello show, ovvero i banchieri centrali che in questi anni in un crescendo di soluzioni e di alchimie hanno evitato all’economia globale gli stress peggiori. Consapevoli che la situazione è comunque fragile, perché il mondo annega in un mare di debiti che rende problematica la crescita. L’ultimo Paese in ordine di tempo ad aggiungersi al club dei super-indebitati è stata la Cina, ex enfant prodige, ormai costretta a rallentare la tabella di marcia della crescita di fronte all’ascesa dei debiti, dal 130% del 2008 al 220% sul Prodotto interno lordo di oggi. La situazione, insomma, presenta dei rischi un po’ a ogni latitudine. Ma, per fortuna, il mondo dispone di alcuni atout: Janet Yellen, fata buona della Fed che non perde occasione per spiegare alle Borse che non hanno nulla da temere – i tassi resteranno a lungo bassi, la ripresa è ancora debole; il cinese saggio, Zhou Xiaochuan, attento a sgonfiare la bolla senza compromettere del tutto la crescita; l’alchimista che arriva dal Canada, Mark Carney, grande protagonista del rally dell’economia britannica; ma, soprattutto, la grande recita della finanza mondiale può contare sulle performance del “Mago di Oz”, ovvero Mario Draghi, secondo la definizione di Jonathan Adair Turner, già a capo della Financial Services Authority che fino a un anno fa ha vigilato sui destini della City. “Mario Draghi – dice – è stato finora un maestro nell’arte del fare quello che, a parole, dice di non voler fare. È un meraviglioso mago di Oz che così facendo ha salvato l’euro”.
Anche lui, al pari dei colleghi anglosassoni o asiatici, si è trovato di fronte quel che Lawrence Summers ha definito la “stagnazione secolare”, effetto di una crescita insufficiente che non permette di ripagare il debito. Nel mondo industrializzato, infatti, la crescita non è sufficiente, a differenza di quel che accadde dopo il ‘45, a ripagare i debiti con i frutti dell’espansione dell’economia. Perciò ovunque, con artifici sempre più raffinati, si tenta di “monetizzare il debito”, ovvero sterilizzarlo attraverso l’emissione di moneta, come nei fatti stanno facendo la Fed o la Bank of Japan, banche che non hanno i vincoli statutari e politici che frenano la Bce.
Tra pochi giorni, forse già in occasione del prossimo direttorio della Bce, il Mago di Oz dovrà tornare in azione: probabilmente con il calo dei tassi o il riacquisto di assets sul mercato in attesa che la riforma dei mercati finanziari consenta di poter ridurre la dipendenza dalle banche delle imprese europee e, di riflesso, offra nuove occasioni per spostare il debito dai bilanci bancari ad altre forme di finanziamento, a partir dagli Abs, i prodotti finanziari che impacchettano mutui o prestiti di vario genere consentendo di aumentare il credito in circolazione. Ovvero a rimettere in circolo le vittime della crisi attraverso l’intervento di una o più bad bank.
Le formule sono tante, ma l’obiettivo è uno solo: spalmare diversamente il debito per renderlo più gestibile. Cosa che urta contro la disciplina tedesca, per cui il debito va ripagato a ogni costo, compreso il dissanguamento del debitore. Ben venga la deflazione in Italia e in Spagna, dicono i sacerdoti della Bundesbank, perché è il prezzo che devono pagare società che finalmente si rassegnano a consumare di meno e a vivere con meno.
Insomma, nella sala dei bottoni della politica monetaria sta per andare in scena l’ennesimo atto del duello tra il Mago di Oz, maestro finora nell’arte di spostare i debiti, e la strega cattiva che abita nel castello della Bundesbank. Sarà un duello terribile, anche se i mercati, anestetizzati dai tassi zero, vivono in una sorta di nirvana da cui non li scuote nemmeno la crisi, assai pericolosa, dell’Ucraina. Da una parte Draghi cercherà di permettere una nuova boccata d’ossigeno a un sistema schiacciato dai debiti. Dall’altra i tedeschi, che a mezza bocca accetteranno una piccola dose di “peccato monetario” purché non venga infranto il dogma che il debitore, sia la Grecia, l’Italia o chiunque altro, debba pagare per i propri debiti. Ma il sospetto è che, finché non si avrà il coraggio di ammettere che non ci sarà modo di ripagare il debito pubblico Usa o giapponese, italiano o cinese, vivremo all’interno di una sfera di cristallo, come in un Truman show.