Il presidente della Bce, Mario Draghi, parlando di fronte ai parlamentari tedeschi della Grande Coalizione, ha dichiarato che il programma di Quantitative easing non è imminente e che per il momento è relativamente improbabile. Come ha precisato il governatore, la banca centrale è pronta ad adottare misure di quantitative easing solo se queste saranno necessarie. Draghi starebbe considerando misure senza precedenti che includono anche tassi d’interesse negativi, per dare una risposta ai rischi di deflazione. Ne abbiamo parlato con il professor Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



Qual è il vero messaggio che Draghi intende mandare al mondo della finanza?

In primo luogo Draghi ha voluto tranquillizzare i parlamentari tedeschi, anche perché l’Europa sta beneficiando largamente di un forte mutamento di clima nel contesto internazionale, con la fuga dei capitali dai Paesi emergenti e un maggiore interesse nei confronti dei Paesi periferici. Draghi a suo tempo tranquillizzò i mercati e pose lui stesso delle condizioni favorevoli per ripristinare la fiducia sull’area dell’euro, che sembrava prossima a uno smantellamento. Sembra di parlare di eventi molto lontani nel tempo perché ormai gli spread sono scesi, e persino i titoli di Stato di Grecia e Portogallo sono collocati con relativa facilità. Siamo quindi in presenza di uno scenario abbastanza favorevole, anche se la crescita dell’Europa rimane molto fiacca e il rischio di bassa inflazione o addirittura di deflazione non sono scongiurati.



Come valuta in questo contesto le condizioni dell’Italia?

In Italia le condizioni della domanda interna, come conseguenza delle politiche di austerità, sono ancora pietose. Sugli indici di fiducia delle famiglie sembra influire positivamente l’annuncio del bonus da 80 euro, l’atteggiamento positivo del nuovo governo sul rilancio della crescita, l’economia dei consumi privati. C’è dunque un momento di fiducia sia in Italia che in Europa, ma senza una vera ripartenza. È importante che l’Europa crei una domanda pubblica, perché quella privata è ancora sotto stress perché sconta la riduzione del debito privato ancora pesantemente in corso in paesi come il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Danimarca, oppure la necessità di contenimenti rigorosissimi del debito pubblico come in Spagna, Grecia, Italia e nella stessa Francia, dove ha superato il 90% del Pil, e dunque né i singoli Stati, né i privati possono spendere.



In queste condizioni come è possibile fare ripartire l’economia?

Il Pil dell’Eurozona non ha più benzina, né pubblica né privata, nemmeno quella degli investimenti privati perché fintantoché i consumi rimangono così depressi non si costruiscono nuove fabbriche. È già tanto se restano aperte quelle che ci sono già, perché hanno una capacità produttiva inutilizzata. La strada che l’Europa ha di fronte è quella di rilanciare fortemente la domanda interna, o in alternativa di fare affluire più credito all’economia reale. Finora però questa strada è stata molto difficile, perché i fondi presi alle aste Ltro sono stati utilizzati soprattutto per rimettere in sesto i bilanci delle banche e supportare il loro acquisto di titoli di Stato.

 

È probabile un nuovo intervento della Bce?

Quando alcune settimane fa Draghi ha annunciato che la Bce sarebbe stata pronta a intervenire con un Quantitative easing importante per sostenere l’economia, per rilanciare il credito e per scongiurare la deflazione, è stato un fatto abbastanza epocale.

 

Quanto è credibile l’annuncio di Draghi?

Finora si è trattato di un annuncio puro e semplice, in quanto la Bce non poteva fare come la Federal Reserve che ha ripulito le banche le quali avevano acquistato dei titoli tossici. In queste ultime settimane però il ritorno di interesse per gli stessi titoli di Stato periferici dell’Eurozona, significa che proprio l’annuncio della Bce, che ha ipotizzato l’acquisto di titoli di Stato, li ha resi ancora più interessanti da parte degli investitori non europei. Ancora una volta Draghi con un semplice annuncio ha creato ulteriori presupposti per avere fiducia nell’euro e nell’Eurozona, nonostante l’inettitudine delle classi politiche europee e della Commissione Ue.

 

(Pietro Vernizzi)