La bacchetta magica funziona ancora. Il giorno dopo il direttorio della Bce, le Borse avanzano, i rendimenti dei pubblici calano. Lo spread tra Btp e Bund si riduce a 160 punti, nonostante calino anche i tassi tedeschi. E l’euro, il tema che più sta a cuore alla Bundesbank, scivola a 1,37, in attesa di nuovi cali utili a sostenere l’export tedesco nonostante le tensioni sul fronte russo. Il tutto senza che Mario Draghi abbia impegnato un solo euro o preso impegni espliciti con i mercati finanziari. In sintesi, rimandando l’attuazione del Qe, la Bce non delude la finanza, ma la mantiene in uno stato di eccitazione. Annunciando e non facendo si tiene aperte tutte le possibilità e conserva intatte le sue munizioni. Con l’Omt questa strategia ha funzionato in modo eccellente ed è chiaro il tentativo di replicarla adesso con il Qe.



Ma funzionerà? I remake, c’insegna Hollywood, sono operazioni complesse, dall’esito incerto. La chimica che corre tra un attore di cassetta e il suo pubblico può spezzarsi all’improvviso, senza una causa precisa. Un pericolo, ammoniscono alcuni gestori hedge dagli Usa, che vale anche per Draghi: a marzo sono cresciuti di numero i contratti long sull’euro (ovvero al rialzo). Vero, ma l’alchimia di Draghi, stavolta, non si basa solo sulla fiducia, ma su dati reali: lo stato di grazia dei mercati, azionari ma anche obbligazionari, si spiega con la prospettiva simultanea di un’accelerazione imminente della crescita.



Il fenomeno, appena percepibile in Italia, comincia a dare i suoi frutti in molte aree dell’economia globale, e la grande industria, in Germania, stia avviandosi verso un massiccio programma di investimento. In Giappone ci sono qua e là segni di tensione nel mercato del lavoro, al punto che ieri il governo ha sospeso gli incentivi per l’occupazione femminile perché le aziende stentano a trovare personale. Intanto i programmi di opere pubbliche, che l’Abenomics aveva inizialmente previsto per il secondo trimestre appena iniziato, slitteranno di alcuni mesi per la difficoltà nel reperire la manodopera necessaria. Anche per questa ragione Abe sta provando a rompere un tabù culturale proponendo di aprire le porte a 200mila immigrati all’anno.



I dati di ieri confermano il recupero dell’occupazione nell’economia americana: alla fine del 2016, fra meno di due anni, l’America sarà ritornata alla piena occupazione. In alcuni settori e, in generale, per le posizioni più qualificate, si farà addirittura fatica ad assumere e si dovrà cominciare a offrire retribuzioni più alte. Insomma, si cominciano finalmente a vedere gli effetti di un’accelerazione sincronizzata della crescita globale. Anche l’Italia, che non ha ancora superato la sindrome recessiva, è coinvolta in quest’atmosfera di ripresa, come dimostra la corsa dei fondi Usa verso le banche italiane.

In questa cornice, dicono i più pessimisti, si avvertono anche i primi segnali di stretta, almeno negli Stati Uniti. Ma la rapida retromarcia di Janet Yellen dopo la previsione di un aumento dei tassi già a metà dell’anno prossimo sta a dimostrare che in tutto il mondo i politici e le autorità monetarie sono schierate a favore di politiche espansive perfino di più di quanto non lo fossero nelle fasi più buie della crisi: “La frustrazione per la bassa crescita e il timore di gettare al vento gli sforzi di questi anni – ha commentato Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners – non li inducono solo a tenere il piede sull’acceleratore, ma a dare addirittura più gas al motore. Avendo fatto trenta, vogliono a tutti i costi fare trentuno”.

Ecco perché è facile prevedere che alle parole di Draghi seguiranno i fatti (al di là dei rumors riportati dalla Faz). Anche se, come sempre accade nelle cose europee, sarà un processo tribolato, complesso e farraginoso. Sarà necessario attendere le statistiche sull’andamento dell’economia Ue di inizio giugno. Nel frattempo la Bce dovrà moltiplicare gli sforzi per rivitalizzare il mercato degli Abs e di altri strumenti non bancari di finanziamento alle imprese. È un mercato florido negli Usa, non nel Vecchio Continente dopo lo scoppio della crisi di Lehman Brothers. La conseguenza è che la Fed ha potuto acquistare a piene mani titoli delle imprese (e mutui) favorendo la ripresa. Gli input della Bce rischiano invece di essere inefficaci perché costretti a superare troppi filtri e intermediazioni bancarie e burocratiche. Inoltre, sarà necessario fissare regole sia sui tempi che sulle modalità di intervento, Paese per Paese.

Insomma, non illudiamoci che dalla Bce arrivino presto soldi per l’economia. L’effetto più rilevante, come nel caso dell’Omt, è stato e sarà l’annuncio di Draghi e la determinazione a fare, che accomuna con varie gradazioni più o meno tutti i paesi, con più concordia rispetto al 2012. Ma è dubbio che sia sufficiente agitare gli animal spirits del capitalismo, a Francoforte come nella Renzinomics che si profila a palazzo Chigi, per uscire dalla crisi più pesante degli ultimi novanta anni. Oltre ai buoni propositi, ci vorranno i quattrini, la “carta” che il Giappone immette a piene mani nella sua economia così come hanno fatto gli States negli ultimi cinque anni. E come sta facendo la Gran Bretagna, alimentando il mercato immobiliare. È lì che si gioca il destino d’Europa, in una partita che non è certo più facile oggi di ieri.