Le esportazioni italiane nel marzo 2014 sono calate dello 0,8% rispetto al mese precedente, mentre il Pil nel primo trimestre di quest’anno si è ridotto dello 0,1% rispetto agli ultimi tre mesi del 2013 e dello 0,5% rispetto al primo trimestre dell’anno scorso. A colpire però è soprattutto il fatto che migliorano le esportazioni dell’Italia verso i Paesi europei, con un +10,9% verso la Spagna, mentre diminuiscono verso gli Stati extra-Ue come la Russia (-13,9%). A marzo 2014 il saldo commerciale (cioè la differenza tra esportazioni e importazioni) rimane positivo, pari a +3,9 miliardi di euro. Abbiamo chiesto al professor Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, di commentare questi dati.



Come si spiega la riduzione delle esportazioni italiane nel marzo 2014?

Il cambiamento del clima internazionale ha influito sulla dinamica del Pil del primo trimestre. La dinamica delle esportazioni verso i Paesi extra-Ue ha rallentato, dopo essere stata la componente più vivace dell’export nell’ultimo anno e mezzo. La Russia ha fermato completamente gli investimenti e i suoi consumi sono in frenata, anche perché i paesi occidentali hanno adottato sanzioni e creato un clima per cui gli investitori stanno fuggendo da Mosca. L’export italiano verso la Russia equivale a un fatturato pari a un miliardo di euro in moda e calzatura, 600 milioni in mobili e arredamento, 1,5 miliardi in macchinari. Si tratta di prodotti tipici del Made in Italy, tali per cui se la Russia rallenta l’Italia ne risente in modo particolare.



Il calo dell’export proseguirà anche nei prossimi mesi?

Un rallentamento c’è e continuerà per un po’ per le difficoltà dei Paesi emergenti. La Turchia e la Cina attraversano una fase problematica e crescono meno di prima, la Russia è in tensione per motivi geopolitici, l’Ucraina è ferma. L’anno scorso numerosi Paesi extra-europei hanno svalutato enormemente le loro monete, e dunque hanno minore potere d’acquisto, proprio mentre l’euro si rafforza. Ciò non facilita certo le esportazioni italiane, perché il tasso di cambio erode parte del fatturato concordato nei contratti. Le attese per l’export nei prossimi due o tre mesi dovranno essere molto prudenti, anche se sono convinto che nel medio-lungo periodo le nostre esportazioni hanno un buon potenziale.



Quanto è significativo il –0,1% registrato dal Pil nel primo trimestre 2014?

Il Pil scende, ma ha avuto la sua diminuzione più bassa dal 2011, cioè da quando è ricominciata la caduta del prodotto lordo. Questi dati significano che la domanda interna rimane ancora debole, e la produzione industriale non ha un trend costantemente in risalita. Il quadro ancora non è stabilizzato, e non coincide con il clima di aspettative più positivo che si è materializzato soprattutto dal secondo trimestre 2013.

 

Lei che cosa si attende per il nostro Paese?

Dopo l’inizio ancora debole del 2014, la seconda metà di quest’anno sarà più robusta e ci riporterà verso quei valori attesi di crescita del Pil che saranno intorno allo 0,5-0,7% previsti dalle principali istituzioni internazionali. L’Europa sta ancora attraversando una fase di assestamento e contrazione o debolezza nella domanda interna che riguarda tutti i Paesi. L’austerità ha colpito Italia, Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo, e anche l’economia di Francia e Paesi Bassi è abbastanza ferma. È un quadro dove è difficile che le esportazioni vadano bene in quanto il mercato interno Ue rimane fermo e i Paesi emergenti hanno rallentato.

 

Il fatto che anche il Pil di paesi come gli Usa non va così bene, significa che non è un problema solo dell’austerity europea?

Gli europei stanno cercando di tenere sotto controllo il debito pubblico con un rigore che gli altri paesi non hanno. Ma anche altri Stati extra-Ue non hanno ancora risolto gli squilibri finanziari privati e non solo. Negli Stati Uniti l’intera ripresa dopo la crisi è stata appannaggio di una ristretta porzione della popolazione. Il ceto medio e gran parte della popolazione hanno ancora redditi in gran parte inferiori a quelli pre-crisi, mentre sono aumentati notevolmente quelli dei più ricchi.

 

(Pietro Vernizzi)

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