Il Pil italiano del primo trimestre 2014 al -0,1% in relazione a quello precedente è stato commentato con sorpresa e pessimismo. In realtà, è compatibile con la tendenza di ripresa poca e lenta dell’economia italiana che ne proietta la crescita 2014 tra lo 0,4% e lo 0,8% e quella 2015 poco sopra o sotto l’1%. Nel secondo trimestre è già osservabile un piccolo miglioramento che molti analisti ritengono si consolidi nel secondo trimestre. Ma c’è il rischio che tutta l’Eurozona resti intrappolata nella bassa crescita, riportando l’Italia in lieve recessione, compresa la Germania che, pur avendo fatto un buon Pil nel primo trimestre, in realtà è più stagnante che crescente.



Il motivo è evidente: prevale in questa area economica la priorità idealistica del rigore contro quella della crescita. Se si taglia spesa pubblica senza ridurre le tasse gira meno denaro nel mercato interno. La Germania riesce a compensare questo fenomeno facendo girare di più la parte dell’economia tirata dall’export. L’Italia, anche potenza manifatturiera esportatrice, fa lo stesso, ma la crisi del mercato interno è più profonda e quindi il bilanciamento dell’export non è sufficiente. La Francia esporta di meno, ha un mercato interno più vivace perché ancora sostenuto da spesa pubblica in deficit, ma se dovrà pareggiare il bilancio andrà in recessione. Tutti, poi, soffrono un cambio dell’euro troppo alto.



In sintesi, l’Eurozona è un caso perfetto per mostrare tutto quello che non si deve fare in politica economica e monetaria. Mentre ciò che è successo in America e nel Regno Unito mostra ciò che si deve fare per uscire da una crisi. Il caso inglese è quello più comparabile: due anni fa il governo reagì alla crisi tagliando di quasi 100 miliardi equivalenti la spesa pubblica per ridurre le tasse, liberalizzando tutto il liberalizzabile, e ora quell’economia è in boom. Questo e altri esempi mostrano che la giusta medicina per rivitalizzare un mercato è quella di lasciare più soldi ai privati, ridurre a un minimo la presenza statale nell’economia e i vincoli normativi che ne rallentano i cicli. Si chiama “pragmatismo economico”.



Italia ed Eurozona restano in crisi o ne escono troppo lentamente perché imprigionate in modelli di “idealismo economico”. Così come la politica monetaria della Bce è di tipo idealistico, preferendo rischiare licenziamenti che un pelo di inflazione in più, mentre quelle inglese e americana hanno preso un rischio sull’inflazione per ridurre rapidamente la disoccupazione, riuscendoci e senza fare troppa inflazione. Non mi sembra ideologico invocare una svolta pragmatica anche per l’Italia e l’Eurozona.

 

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