«Noi friulani siamo poco curiosi». A pensarla così è Federica Quaia, titolare, assieme ai fratelli Francesca e Lorenzo, dell’azienda di famiglia – il Gruppo Oasis di Pordenone – che dal 1908 produce arredi per la casa, il bagno e il contract. Tutti i prodotti del marchio Oasis sono interamente realizzati in Italia – molti in azienda – da artigiani di lunga tradizione. Oggi il gruppo è presente in più di 25 paesi, tra cui Russia, Ucraina, Francia, Svizzera, Belgio, Regno Unito e Germania.



Cosa intende con “poco curiosi”?

Siamo molto testardi, molto convinti di ciò che abbiamo costruito negli anni. È solo con le ultime generazioni – nella nostra azienda siamo alla quarta – che ci siamo messi alla ricerca di ciò di cui fino a qualche anno fa eravamo convinti di non aver bisogno.

Cioè?
Del mercato estero: non averlo fatto prima è stato un errore. Lo constato viaggiando per lavoro; alla Brianza va riconosciuto il merito di essere stata più lungimirante di noi.



I friulani avranno anche delle virtù, no?

Noi friulani siamo molto attaccati alla nostra storia, ma da un punto di vista qualitativo siamo anche molto precisi. Il friulano non inganna, è molto franco, anche con se stesso. Purtroppo è stato lento a uscire dai confini nazionali. Sento tuttora la fatica che facciamo noi tre, che pure siamo giovani, per recuperare questa situazione: sembra di non avere abbastanza tempo da dedicare a quei mercati che oggi sono più avidi, più curiosi, più desiderosi di avere ciò che noi abbiamo sempre avuto.

Al Salone del mobile la stragrande maggioranza dei frequentatori del suo stand erano stranieri…



Al 95%.

Di dove, in particolare?

Dalla Russia, perché lì ormai siamo presenti da 12 anni, con un ufficio e una testimone d’eccezione che è mia sorella che vive lì.

Altri paesi?

La Cina è stata una vera scoperta. Abbiamo aperto un ufficio di rappresentanza a Hong Kong a gennaio di quest’anno e in pochi mesi abbiamo potuto constatare quanto i cinesi desiderino la qualità e la desiderino più fortemente di alcuni paesi europei.

Come lo spiega?

Si sono sentiti ingannati, secondo me, da alcune aziende e hanno anche una grande voglia di riscatto per il marchio che portano addosso, cioè che una cosa cinese è una copia. Oggi è il cinese che pretende di avere l’originale. E l’originale dev’essere all’altezza, e per altezza intendo un target molto alto. Non vogliono sentirsi ingannati, pur avendo ingannato per parecchio tempo (ride, ndr). Per un imprenditore è fondamentale questa apertura. Dire: la Cina no, è sbagliato; bisogna cercare di capire il Paese, capire il cliente che può e che esige.

 

Che novità avete portato al Salone del mobile?

Abbiamo due linee, Luxury e Contemporanea. Nella collezione della linea Contemporanea la novità è un prodotto complementare a tutto quello che abbiamo a catalogo: un modello che ha come caratteristica la trasversalità, la componibilità che manca agli altri, le finiture, le laccature, ecc.; in pratica, non dà via di scampo al cliente: dal 60 al 180 si può avere tutto, con vasche e lavabi nuovi, in ceramica, cristallo, resina, corian; le laccature possono lucide od opache, ecc.

 

Cosa viene apprezzato in modo particolare dalla vostra clientela?

Principalmente due cose: la flessibilità che riscontrano nell’ampia gamma del prodotto e la possibilità di vivere un’esperienza sensoriale.

 

Cosa intende con “esperienza sensoriale”?

Quando parlo della sala da bagno come luogo onirico mi riferisco al fatto che oggi il tempo da dedicare a se stessi è talmente un lusso che uno, potendo, lo vive al meglio. E si lascia abbracciare da 5-6 elementi che fanno sentire un po’ come principi. Questo è un aspetto che viene riconosciuto. Senza essere scontati e banali. Non sto parlando di Swarovski, del mero luccichio: parlo di finiture e di materiali che richiamano la tradizione della manifattura, del laboratorio, dell’artigianato italiano, del made in Italy, insomma.

 

Cos’altro piace ai vostri clienti?

La precisione, la qualità e anche l’organizzazione interna dell’azienda.

 

Cos’ha di particolare la vostra organizzazione?

Tendiamo a produrre internamente anche per dettare noi i tempi del just in time. Ma soprattutto perché puntiamo al “fare su misura” che a noi dà soddisfazione; possiamo permetterci di farlo dal momento che abbiamo maestranze abituate a lavorare in questo modo per tradizione. Non voglio assolutamente prendere i meriti di ciò: lo abbiamo ereditato dalla generazione che ci ha preceduto. Infatti nella squadra ci sono persone di una certa età.

 

Quanto investite nella ricerca?

Parecchio. Lavoriamo in un settore privilegiato: possiamo sperimentare. Abbiamo un’area creativa che fa ricerca di tendenze e analizza quelle che sono le ispirazioni. Non basta infatti andare alle fiere e cercare di cogliere quello che altri non colgono perché poi traslare tutto questo potpourri di belle cose in un prodotto non è semplice.

 

Cos’altro occorre?

Occorre fare delle scelte che spesso sono costose, perché produrre nuovi pezzi è costoso. E poi, come un abito di moda, un prodotto si deve poter vendere, non basta l’entusiasmo della sfilata. Per questo è importante fare le scelte giuste anche dal punto di vista artistico. Noi, ad esempio, abbiamo fatto una selezione molto severa di tutti quei creativi troppo onirici, io li chiamo i designer “lunari”, che fanno cose trascendentali, forse vendibili sulla luna, che fanno parlare però poi in termini commerciali portano riscontri per l’azienda. Non si azzecca subito il direttore artistico, il designer, il grande nome.

 

Voi come fate?

Viaggiamo molto e curiosiamo all’interno del ventaglio che i rivenditori propongono. Cerchiamo di capire innanzitutto qual è la storia e la cultura dell’epoca che ci interessa, per capire quali colori un rivenditore, piuttosto che un cliente, un interior decorator o un designer leggono immediatamente nel prodotto.

 

Poi?
Ci mettiamo alla ricerca dell’architetto che sposa quel determinato gusto e si sente ispirato dagli stili che appartengono all’azienda. Solitamente l’architetto è più preparato del designer che spesso si limita a studiare l’aspetto estetico ma non quello funzionale, le proporzioni, ecc. Trovato l’architetto “giusto” tutto diventa più naturale, perché lavorando insieme ci si ispira a vicenda.

 

Prospettive?
Ovviamente continuare dove siamo presenti, leggendo lo sviluppo interno di quei paesi. Perché vogliamo concorrere all’evoluzione del gusto di quei paesi. Oggi, ad esempio, il gusto dei russi non è più quello di quando abbiamo iniziato a lavorare là

 

Com’è cambiato?

Si è molto raffinato ed è diventato più selettivo. All’inizio era diverso; un po’ come essere stati a digiuno per mesi: dopo si assaggia di tutto. Adesso hanno capito che non tutto è bello perché luccica. Anche per essere accolti in una comunità più ampia, in Europa o in altri paesi. C’è anche un’altra cosa.

 

Prego.
Continuare a informarsi. Oggi quanto a funzionalità, estetica, colore, utilizzo di nuovi materiali è una corsa continua. C’è bisogno di aggiornamento continuo. Oggi stiamo pensando a cosa faremo tra due anni.