«Il pacchetto di interventi della Bce a favore delle imprese è un sistema molto macchinoso e difficilmente produrrà benefici soprattutto per le aziende medie e piccole. Draghi ha fatto molto poco, ancora una volta la montagna ha partorito il topolino». Lo sottolinea Giulio Sapelli, professore di Storia economia all’Università degli Studi di Milano, commentando il taglio dei tassi allo 0,15% adottato dalla Bce e ’’annuncio di una nuova asta Ltro con l’obiettivo di fare affluire liquidità alle imprese. Una misura che continua a trainare le borse, con piazza Affari a quota 23mila punti come non si vedeva dal 2010. Intanto però il cambio euro/dollaro continua a essere a 1,35, contro l’1,37 di mercoledì. Insomma, scende troppo poco per consentire alle imprese europee di tornare ad avere un cambio favorevole alle esportazioni.



Che cosa dovrebbe fare la Bce per agganciare un cambio euro/dollaro più competitivo?

Quanto andrebbe fatto perché il valore dell’euro potesse scendere non è nelle mani della Bce. Il flusso di capitali che negli ultimi anni si è mosso dai cosiddetti “Bric” (Brasile, Russia, India e Cina) verso l’Eurozona, e che è stato salutato con piacere perché era sinonimo di nuovi investimenti, dal punto di vista dei cambi internazionali ha rafforzato il valore dell’euro.



In che modo?

Uno dei motivi per cui difficilmente il dollaro ha degli investimenti così elevati è che la maggioranza degli investimenti esteri diretti va negli Stati Uniti, e solo in seconda battuta in Asia, in America Latina o nell’Eurozona. Negli ultimi due o tre anni, da quando cioè i Bric hanno rallentato la loro crescita, e hanno incominciato ad avere degli investimenti esteri diretti all’interno delle zone cui appartengono, l’euro non poteva che aumentare il suo valore. Questo ci fa comprendere che le politiche monetarie da sole non possono influire più di tanto sui tassi di cambio, in quanto questi ultimi riflettono innanzitutto mutamenti dell’economia reale.



Quanto pesa per l’export delle nostre imprese l’effetto dell’euro forte?

Adesso c’è un grande stracciarsi le vesti perché l’euro continua a essere così forte, ma ciò dipende anche dalla produttività del lavoro nelle singole nazioni. Quando il marco era la moneta più forte al mondo, la Germania esportava il 39% del Pil, cioè più o meno lo stesso dato attuale. Gli unici a non piangere sono i tedeschi, e l’euro d’altra parte non è altro che un marco che ha cambiato nome. Non dimentichiamoci che l’Europa è uno dei più grandi importatori al mondo, seconda sola alle famiglie americane. Se l’euro si svalutasse troppo avremmo un aumento molto rilevante del costo delle importazioni.

Lei come valuta la politica monetaria della Bce?

La più rilevante delle politiche monetarie di Draghi, ammesso che funzionerà, sarà quella di abbassare i tassi dei prestiti con cui le banche ricevono il denaro della Bce. Entro un determinato periodo di tempo le banche devono però erogare quote di credito alle piccole e medie imprese, a tassi proporzionati a quelli della stessa Bce.

 

L’intervento della Bce può avere effetti benefici per le piccole e medie imprese?

È un sistema molto macchinoso, in quanto bisogna aumentare i controlli sulle singole banche. Queste ultime, una volta ricevuti i soldi dalla Bce, in primo luogo li metteranno a capitale, poi aspetteranno che arrivi qualcuno a controllare che li abbiano effettivamente erogati alle imprese. Draghi ha fatto molto poco, perché con le sue misure è come una montagna che ha partorito il topolino, in quanto ha rinunciato al quantitative easing. Anche da un punto di vista monetario, Draghi non ha fatto tutto ciò che poteva fare, tanto è vero che dice: “Farò di più”. Il governatore Draghi è sempre più un esperto di annunci, anziché di interventi concreti.

 

(Pietro Vernizzi)