Sullo sfondo scorrono immagini di città e paesaggi italiani, in primo piano occhi e mani di persone che disegnano, limano, cuciono, vivono… insieme a opere di Michelangelo, Caravaggio, Leonardo, e a una serie di oggetti evocativi del design italiano, come mobili e abiti… Alla fine del video, l’applauso è fragoroso, al punto che verrà ritrasmesso. Niente di strano, se non fosse che siamo nel palazzo dell’Assemblea del popolo a Pechino, la più alta istituzione statale della Repubblica popolare cinese. L’occasione è il primo Business Forum Italia-Cina dove qualche giorno fa si sono incontrati il premier italiano Matteo Renzi e il premier cinese Li Keqiang, insieme a uno stuolo di imprenditori di grandi e piccole aziende, rappresentanti delle istituzioni e giornalisti dei due Paesi. Insomma, un’occasione storica attraverso cui le imprese nostrane cercano nuove prospettive di crescita (o di sopravvivenza) e quelle cinesi la qualità dei prodotti italiani a cui i loro clienti sono sempre più sensibili.



Tra gli italiani c’era Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo e testimone dell’Italian lifestyle che, evocando Marco Polo, ha ricordato come Italia e Cina condividano una storia e una cultura millenarie che nel tempo “hanno generato un gusto unico per le cose belle e di qualità”. Un clima estremamente positivo suggellato dalla chiusura di accordi bilaterali tra il comparto del legno-arredo italiano e le più importanti associazioni di categoria cinesi, aziende della grande distribuzione e del real estate, tra cui il gruppo immobiliare Vanke.



L’obiettivo è favorire l’inserimento delle aziende del settore nel mercato cinese, e arrivare a organizzare una grande fiera del mobile italiano in Cina nel 2016. Ragione per cui è stato presentato ufficialmente Club del Made in Italy, un’iniziativa che mira a dare alle aziende italiane gli strumenti culturali e professionali per affrontare il mercato cinese. Il rapporto è asimmetrico, come ha affermato lo stesso Renzi nel suo intervento, l’interscambio bilaterale è di 33 miliardi, ma 23 sono cinesi e 10 italiani. Per non parlare del problema contraffazione su cui Snaidero ha richiamato con forza l’attenzione dei cinesi.



Eppure, la proiezione di quel video ha messo per un attimo tutti alla pari. Piccole-medie aziende di fronte a colossi in irrefrenabile espansione; un sistema Paese italiano da cui gli imprenditori non si sentono mai adeguatamente capiti e sostenuti, di fronte a un apparato statale ed economico che è un tutt’uno… Sono arrivati alla Casa del popolo avendo in mente gli affari da concludere, e in quel giorno ciò che più li ha catalizzati è un video in cui, insieme a belle immagini, si sono sentite parole come immaginazione, materia domata, bellezza oltre l’utilità.

Renzi aveva concluso il suo discorso dicendo che avrebbe incoraggiato gli imprenditori italiani “a gustare la sfida cinese”. Certo, una sfida si può anche gustare. Ma ciò che sembrava dominare in quei minuti è un altro tipo di gusto: quello dell’essere imprenditore. Un gusto rappresentato in modo apparentemente ingenuo, senza calcolo. Come se non ci fossero in ballo accordi commerciali milionari, come se la crisi non attanagliasse, come se non ci fosse il problema di uno squilibrio di forze e distanze culturali enormi da coprire… Immagini di uomini che creano, con le mani e con la testa, che amano lavorare; per i quali lavorare è una necessità, ma è anche il luogo di un’eccedenza di sé che non potrebbero tenere dentro… Ma non sarà questo il segreto per superare la crisi?