Finalmente, giovedì prossimo, la Bce prenderà quelle decisioni di reflazione dell’Eurozona che ha annunciato da mesi. In realtà, avrebbe dovuto attuarle da almeno un anno quando nei dati iniziava ad apparire un rischio di deflazione. Ma nell’estate del 2013 la Bce era imputata di violazione dei trattati dalla Corte costituzionale tedesca e non ha voluto tentare politiche monetarie espansive che avrebbero esacerbato la questione. Quando la deflazione si è manifestata con più evidenza, agli inizi del 2014, la Bce ha rinviato le decisioni correttive per evitare di diventare oggetto di polemiche nella campagna per le elezioni europee.



Va anche annotato che entro la Bce c’è divisione sull’interpretazione del rischio di deflazione. La componente tedesca non considera un male un’inflazione bassa. Altri, correttamente sul piano tecnico, vedono nell’inflazione bassa e, soprattutto, decrescente il rischio di aspettative di prezzi sempre più in calo, motivo per il rinvio di acquisti di beni e quindi di riduzione dei consumi e della crescita.



Ora, con l’inflazione sotto l’1%, a fronte di un obiettivo di tenerla vicino al 2%, con segnali di attese negative e con una prospettiva di ripresa troppo lenta nell’Eurozona sia nel 2014 che nel 2015, finito il periodo elettorale e temporaneamente congelata la questione della violazione dei trattati, la Bce può, e ha concreti motivi per, agire in modo espansivo e correttivo senza troppi dissensi interni.

Analisti e commentatori tentano da settimane di anticipare le scelte specifiche perché su queste ci sono ancora riservatezza e ambiguità da parte della Bce, nonché dubbi sulla forza dell’azione. Infatti, il mercato ha scontato una manovra di poca intensità proprio per i vincoli restrittivi posti dal criterio tedesco, per esempio riducendo solo di poco il valore di cambio dell’euro contro dollaro. Ma se la Bce vorrà sul serio invertire le attese di deflazione e stimolare la crescita dovrà necessariamente: (a) abbassare il cambio dell’euro; (b) immettere più liquidità nel sistema per sostenere la crescita delle Borse; (c) aumentare i potenziali di credito a imprese e famiglie nelle aree dove è ancora insufficiente.



Il come è più chiaro per la terza mossa perché già annunciata: facilitare la cessione dei crediti, via finanziarizzazione (cartolarizzazione) degli stessi, affinché le banche abbiano più capitale disponibile per le erogazioni. Questa mossa sarebbe salvifica per l’Italia anche se le altre due fossero poco incisive perché la contrazione del credito, pur in riduzione, è il fattore principale di blocco per la ripresa. Su questo punto la Bce non dovrà deluderci.

 

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