Ogni grande impresa umana ha avuto il suo pioniere. Come Enzo Ferrari per la Formula 1 o Giulio Natta per la plastica. Guglielmo Giordano lo è stato per il legno che, con lui, dagli anni Sessanta, diventa vera e propria materia di studio scientifico. Professore di tecnologia del legno a Torino nel primo dopoguerra, poi docente alla facoltà di Agraria dell’Università di Firenze, fondatore dell’Istituto del legno del CNR e autore di numerose pubblicazioni tra cui il Manuale di Tecnologia del legno, è conosciuto come colui che elaborò e mise in produzione nel 1983 il sistema di pavimentazione noto come Listone Giordano, liste flessibili e indeformabili, divise in due strati, quello visibile, in legno scelto con criteri estetici, quello inferiore, in betulla, resistente alle deformazioni e più ecologico poiché proveniente da alberi a rapida crescita. Ma fu anche colui a cui le autorità si rivolsero in occasione dell’alluvione di Firenze del 1966, per sapere come trattare le
opere d’arte lignee danneggiate, tra cui il crocifisso di Cimabue.



Nato nel 1904 a Margarita, provincia di Cuneo, il contatto con le Alpi piemontesi danno l’impronta alla sua formazione e al lavoro che lo occupò fino alla fine della sua vita, lavoro che ebbe tre indirizzi fondamentali: “ambientale, riguardante il legno inteso come materia prima rinnovabile in rapporto alla gestione sostenibile del patrimonio forestale e alla tutela del paesaggio; ingegneristico, riguardante le caratteristiche prestazionali del materiale in relazione alle sue molteplici applicazioni tecnologiche; storico-artistico dedicato allo studio dell’utilizzo del legno in architettura e nelle arti figurative”.



Così si apprende nel bellissimo volume “Guglielmo Giordano. Scienza e arte del legno”, da poco dato alle stampe dalla Fondazione Giordano e presentato venerdì in collaborazione con FederlegnoArredo. “Secondo un proverbio cinese, per chi cerca l’immortalità ci sono tre vie: mettere al mondo figli, mettere a dimora una pianta, scrivere un libro. Il professor Giordano ha fatto tutte e tre queste cose e in modo abbondante”: così ha esordito nel suo intervento Andrea Margaritelli, presidente della Fondazione Giordano. Al convegno erano presenti i tre figli, ex collaboratori, studenti e varie persone in qualche modo toccate dal lavoro e dalla personalità dello studioso.



Il volume riporta storie e testimonianze di persone che hanno condiviso porzioni della sua lunga esistenza professionale e umana. Un uomo “tutto intero” che ebbe la capacità di far convivere ambienti diversissimi (forestale, di laboratorio, universitario, industriale, artigiano, artistico, del restauro) e di dare unitarietà al sapere senza perdersi nell’eccesso di specializzazione. Quello che colpisce è la scuola di vita che ha rappresentato per molti.  

Alcuni dei suoi insegnamenti vengono così riassunti: la prima cosa è che il sapere è morale, è apprezzabile se è utile, non fine a se stesso, né deve servire per acquisire potere, ma per servire il prossimo. A questo scopo deve anche essere trasmesso nel modo più efficace e completo possibile. Poi l’umiltà: nel lavoro si deve mettere tutta la buona volontà, ma poi bisogna accontentarsi del risultato che si riesce a raggiungere. La perfezione non è di questo mondo. Il terzo è che non si deve pretendere, né aspettarsi troppo dagli altri, ma anche che da tutti, o quasi, si può imparare qualcosa.

Il legno è tempo e memoria – insegnava Giordano -, ogni anello di accrescimento è un anno di vita. Vita che guardava con profondità e religiosità: nei confronti dello studio e della scienza, ma anche come cristiano. Come ricorda il figlio, chiedeva la forza di seguire la volontà di Dio piuttosto che il successo personale. Successo che comunque ebbe in abbondanza… Con tutto il rispetto per il proverbio cinese, per essere ricordati basta lasciare persone stupite…