Notizie contrastanti per quanto riguarda le aspettative delle aziende italiane. L’indice di fiducia nel mese di luglio sale al 90,9% dall’88,2% di giugno. È quanto risulta dall’ultima indagine dell’Istat, che prende come indicatore base la fiducia a livelli pre-crisi nel 2005. L’indice di fiducia delle imprese manifatturiere si riduce al 99,7% dal 99,9% di giugno. Secondo inoltre un sondaggio di Unimpresa tra i suoi 122mila associati, il 64,6% delle imprese si attende un nuovo aumento di crisi e fallimenti. Ne abbiamo parlato con Gianluca Femminis, professore di Economia politica all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
I dati sulla fiducia delle imprese sono contrastanti. Secondo lei, qual è quello più significativo?
Da questa indagine Istat sul clima di fiducia delle imprese il dato più chiaro che emerge è che c’è una grande incertezza. Se si osservano le componenti disaggregate, ci si accorge che la fiducia delle imprese è aumentata in alcuni settori che non sono forse quelli più determinanti. Il clima nel settore manifatturiero è fondamentalmente stabile. Al contrario, la fiducia è in aumento nel settore delle costruzioni, dove parte però da valori molto bassi, e lo stesso si può dire per il settore dei servizi al mercato. La fiducia è inoltre sostanzialmente stabile per quanto riguarda il commercio.
Come valuta questo quadro nel suo complesso?
Già da questo si vede che c’è un quadro di luci e ombre. Se poi si vanno a vedere gli altri dati, come i giudizi sugli ordini e le attese di produzione, ci si accorge che veramente c’è grande incertezza. Il manifatturiero registra un peggioramento della situazione degli ordini, anche se marginale, ma le attese di produzione sono leggermente in aumento. Lo stesso ragionamento si può fare per gli altri settori, in quanto molto spesso c’è una sorta di divaricazione tra la fiducia, la valutazione sugli ordini in portafoglio e le attese di produzione. Per quanto riguarda i beni intermedi, abbiamo un aumento nelle attese di produzione ma un calo delle aspettative per quanto riguarda gli ordini. Da parte delle imprese c’è quindi una grande incertezza che è del resto tutt’altro che immotivata.
Gli indicatori macroeconomici diffusi settimana scorsa erano stati negativi. Nella seconda parte dell’anno dobbiamo attenderci una ripresa?
Sono moderatamente pessimista, in quanto ritengo che possiamo aspettarci un miglioramento piuttosto limitato e marginale. La situazione dei nostri partner commerciali è migliore della nostra, ma non è in netto miglioramento. Negli Stati Uniti è previsto un aumento della produzione del 2% nel 2014, ma nell’ultimo trimestre si è registrata una battuta d’arresto. La Cina sta crescendo del 7%, che per Pechino è un ritmo non spettacolare. In Europa abbiamo luci e ombre: la Gran Bretagna è in miglioramento, la Germania è in frenata, la Francia non va molto bene anche perché sono state aumentate le imposte indirette. Altri paesi tipicamente collegati alla Germania come l’Olanda non vanno benissimo perché è aumentata la pressione fiscale. Non possiamo quindi pensare di agganciarci a una situazione di grande crescita.
Che cosa dovrebbe fare il nostro governo?
Le questioni urgenti sono la riforma del mercato del lavoro, la semplificazione e una riforma seria della giustizia. I tempi cui sono costrette le nostre imprese per avere giustizia sono demotivanti, soprattutto per chi debba pensare di aumentare i suoi investimenti.
E per quanto riguarda l’accesso delle imprese al credito?
Il problema di accesso al credito è meno grave adesso di un anno fa, ma ciò significa che il volume del credito non è più vincolato dai problemi bancari. Il livello del credito è basso anche perché le imprese chiedono poco, oppure perché non sono giudicate partner affidabili dalle banche.
(Pietro Vernizzi)