La Bce preme affinché l’Italia acceleri le riforme economiche strutturali: meno tasse, più flessibilità del mercato del lavoro, certezza del diritto e fluidità burocratica. Draghi teme che lo stimolo monetario in avvio a settembre non riesca poi ad arrivare fino all’economia reale per le troppe barriere poste da un modello inefficiente. Per esempio, la Bce darà soldi alla banche per quattro anni a costi zero alla condizione che queste poi li prestino alle imprese in grande quantità (programma Tltro). Ma se le imprese non se la sentono di investire o perché i margini degli affari sono troppo erosi dal fisco o perché l’assunzione di nuovi lavoratori implica costi eccessivi o perché in qualche settore le regole sono troppo incerte, allora il numero di esse che vorrà accedere a questa facilitazione espansiva sarà minimo.



In sintesi, se la cinghia di trasmissione tra politica monetaria ed economia reale non funziona bene, allora la liquidità si ferma in un lago senza sbocchi mentre a valle resta il deserto. Significa che se l’Italia non cambia il modello la Bce non potrà salvarla pur potendolo e volendolo. Difficile non essere d’accordo per chi pensa in termini realistici. Ma il cambiamento di modello richiesto implica tagli sostanziali di spesa per ridurre le tasse che contrastano con l’ideologia prevalente nella maggioranza parlamentare, nonché con una massa enorme di interessi parassitari.



Ciò rende improbabile che l’Italia possa attuare il richiesto cambiamento di modello nei tempi brevi e con la completezza richiesti. In sintesi, il governo potrà fare molto meno di quanto necessario, anche nell’ipotesi di includere indirettamente nella maggioranza parlamentare forze liberalizzanti, come sperimentato in materia di riforme istituzionali.

Tale considerazione, che ritengo realistica, implica la ricerca di soluzioni pragmatiche: cosa questo governo potrà realmente fare nel breve termine? Non certo significative detassazioni stimolative e riorganizzazioni del lavoro. Potrà, invece: (a) sbloccare tanti lavori infrastrutturali bloccati da ritardi e che se fossero attivati darebbero impulso a un settore portante (costruzioni) dell’economia; (b) aumentare il fondo di garanzia statale per l’accesso al credito delle piccole imprese ora in affanno (migliaia, al Sud un disastro); (c) detassare totalmente gli investimenti di capitale sulle imprese.



Tali misure, fattibili anche da una sinistra, basterebbero per portare oltre l’1% la crescita del Pil in pochi mesi, evitando almeno l’affondamento della nazione. Il governo sta preparando la prima per fine agosto, ma non le altre.

 

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