L’Italia è tecnicamente tornata in recessione, conseguenza di due trimestri con un Pil in diminuzione. Per Moody’s non ci sarà ripresa in questo 2014, anzi il Prodotto interno lordo subirà una discesa dello 0,1%. La cosa non sorprende Claudio Borghi Aquilini, Professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica di Milano. «Voi mi siete testimoni con le precedenti interviste che vi avevo rilasciato: l’avevo detto che non ci sarebbe stata ripresa e che saremmo tornati in recessione. Non poteva che esserci questo risultato dopo un’incertezza fiscale pronunciata, come quella in cui è stata buttata l’Italia a partire dal luglio 2011».
Ma a luglio 2011 c’era ancora Berlusconi e nemmeno si parlava di spread…
La sequenza di manovre di repressione fiscale è cominciata nell’ultimo periodo del Governo Berlusconi, quando venne annunciato l’aumento dell’Iva o delle tasse sul risparmio. Il Cavaliere, pensando o sperando di poter durare, ha cominciato a fare le cose che chiedeva l’Europa. È stato l’inizio della fine.
Sarebbe stato meglio non fare nulla?
Non è che non facendo niente ci saremmo salvati, perché c’era sempre il problema di fondo della bilancia dei pagamenti. Per colpa dell’euro, infatti, importavamo troppo, cosa comune a tutti i paesi europei mediterranei. Se non è possibile aumentare la propria competitività, e quindi pareggiare le importazioni con le esportazioni (e ciò è reso impossibile da una moneta sbagliata come l’euro), per un Paese non c’è altra strada che il congelamento dell’economia. Infatti, dopo queste manovre recessive, la nostra bilancia dei pagamenti è tornata positiva.
Di fatto si è scelto di far diminuire i consumi in modo da far calare anche le importazioni?
Come dice il mio collega Bagnai, per riportare in pareggio la bilancia dei pagamenti, senza poter contare su una propria moneta, ci sono due strade. O si mettono le mani nelle tasche dei cittadini, in modo che non consumino più e così si riducano le importazioni. Oppure si “martellano” i lavoratori, facendogli accettare salari più bassi: così le esportazioni diventano più competitive e nel frattempo calano anche i consumi e l’import. La cosa paradossale in Italia è che c’è un governo di sinistra che ha come bandiera un’Europa che gli chiede di tartassare i cittadini e i lavoratori.
Qualcuno potrebbe però dire che Renzi ha aumentato i salari ai lavoratori italiani, con il bonus da 80 euro.
Guardi, l’Italia, con le manovre di austerità, è stata colpita, per fare cassa, nei suoi due punti forti, che davano una certa garanzia ai cittadini: il risparmio privato e la piccola proprietà immobiliare. Nel momento in cui ciò è avvenuto e continua ad avvenire anche sotto questo governo (lo dimostra l’aumento dell’imposta sulle rendite finanziarie), non ci sono 80 euro che tengano. Perché si continua a “minacciare” e comprimere gli italiani sui due punti che gli davano sicurezza.
Secondo lei, si continuerà su questa linea di austerità?
Sì, assolutamente. Basti pensare alla riforma del catasto. Poi c’è l’arma finale: la tassa di successione. Siamo in mano a degli apprendisti stregoni che eseguono gli ordini che arrivano da paesi che hanno interessi contrapposti ai nostri. E abbiamo anche un popolo plaudente.
In che senso?
Settimana scorsa ero ospite in una trasmissione televisiva e avevo di fronte una rappresentante dei “Quota 96”: applaudiva Boccia che prometteva di risolvere il loro problema. Ma chi l’aveva creato quel problema? Il Pd non ha forse votato la riforma Fornero? I cittadini sperano che chi ha i disastri poi li risolva?
La Spagna è un Paese mediterraneo dell’Eurozona e ha registrato un Pil positivo. Dovremmo seguire il suo esempio?
In Spagna c’è stato un deficit alto in passato e ancora è elevato. C’è stata poi una caduta clamorosa del Pil, che passerà agli annali della storia, per cui una ripresa era inevitabile. Non dimentichiamo infine l’aiuto europeo (e quindi anche nostro) ricevuto per sistemare il sistema bancario.
Sul tavolo sembra esserci l’ipotesi di tagliare la spesa e di privatizzare per uscire da questa impasse. Cosa ne pensa?
Per contrastare la recessione lo Stato deve spendere di più oppure se bisogna tagliare qualcosa meglio che siano le tasse. Riguardo le privatizzazioni, il Portogallo ci dimostra che è una strada sbagliata: ha venduto tutto e non ha risolto i suoi guai. Non c’è un caso concreto in cui privatizzare abbia risolto problemi di competitività, di deficit strutturale o di debito. Non sono certo uno che ritiene che tutto debba rimanere nelle mani dello Stato, anzi: i beni dello Stato vendiamoli, ma se qualcuno li strapaga!
Allora come si esce da questa situazione?
La soluzione finale non può che passare dall’uscita dall’euro. Succederà inevitabilmente. Nel frattempo ho presentato un programma che è stato approvato dal congresso della Lega Nord e che può consentirci di vivere dignitosamente fino ad allora.
Di che cosa si tratta?
Da un lato occorre una forte semplificazione fiscale, un taglio delle tasse che porti a un’aliquota unica e bassa. Dall’altro va utilizzata la spesa pubblica per mettere lo Stato in condizione di produrre beni, possibilmente quelli che importiamo, così da contribuire a migliorare la bilancia dei pagamenti.
Non si tratta di provvedimenti che mettono a rischio i conti pubblici?
Se le manovre opposte sono proprio quelle che provocano l’ammanco di bilancio, probabilmente invece queste portano a un risultato differente. Se si agisce sul denominatore, quindi si fa crescere il Pil, automaticamente la spesa fatta si ripaga da sola.
Cioè?
Poniamo che il moltiplicatore fiscale della spesa sia 1 (anche se è in realtà è maggiore e quindi i benefici sono più alti), se si aumenta il Pil da 100 a 110 e della stessa cifra cresce anche il debito, da 130 a 140, il rapporto debito/Pil diminuirà anziché aumentare. L’aritmetica ci dice che portando il denominatore sopra 100, anche se il numeratore aumenta dello stesso importo il rapporto scende. Finora invece si sono fatte manovre che alla fine hanno portato solo a una diminuzione del denominatore.
(Lorenzo Torrisi)