«L’Italia è ufficialmente in deflazione e la Germania ci entrerà presto, la Bundesbank ne ha già preso atto e solo Draghi continua a rimandare decisioni ogni giorno più urgenti». Lo afferma Giulio Sapelli, professore di Storia economica all’Università degli Studi di Milano, commentando i dati Istat secondo cui nel mese di luglio dieci grandi città italiane, tra cui Roma, Torino e Firenze, sono in deflazione. Come spiegano i tecnici dell’Istituto Nazionale di Statistica, “il rallentamento dell’inflazione è principalmente imputabile all’ampliarsi della flessione su base annua dei prezzi degli energetici regolamentati”.
Professore, come vanno letti i dati Istat pubblicati ieri?
Noi sappiamo che i prezzi energetici in Italia sono tra i più alti in Europa. Se il nostro Paese entra in deflazione, ciò è molto più preoccupante di quanto possa apparire. In Italia i prezzi medi dell’energia sono tra il 30% e il 40% più alti dei prezzi medi in Europa. La colpa è soprattutto dell’Authority italiana per l’energia e il gas, che esercita una iper-regolazione e una sovra-tariffazione. Ciò significa che l’Italia è sprofondata in una deflazione molto più elevata di quella che ci si aspettasse.
Può spiegare meglio il rapporto tra prodotti energetici e deflazione?
Se noi “deflazionassimo” questi dati già di per sé preoccupanti, sottraendo gli alti prezzi energetici, e facessimo un esercizio statistico, utilizzando il prezzo energetico medio europeo al posto di quello italiano, avremmo una deflazione molto più preoccupante di quella che sembra emergere per il momento. Dagli anni ’90 a oggi abbiamo perso 20 punti di Pil, e ciò significa che siamo molto di più che in una stagnazione: piuttosto parlerei di una drammatica recessione cui ora si aggiunge appunto una spaventosa deflazione.
Che cosa la preoccupa di più?
A preoccuparmi è soprattutto il fatto che ci troviamo in una recessione stagnante, rispetto a cui non si vede nessun segno di ripresa proprio mentre si registra un crollo verticale dei consumi. Pensiamo a che cosa sarebbe successo se non ci fossero stati gli 80 euro al mese di Renzi.
A questo punto Draghi interverrà per scongiurare la deflazione?
Il dato di fatto è che Draghi è ormai scavalcato dalla Bundesbank, la quale ha detto addirittura che bisogna alzare i salari minimi del 3%. Il governatore della Bce dovrebbe mettere in atto il programma Tltro (Targeted long-term refinancing operations), che prevede un’erogazione alle banche condizionata al fatto di erogare credito alle piccole imprese e alle famiglie. Draghi è già in ritardo, dovrebbe finalmente mettere in atto quanto promette.
Se Draghi passasse all’azione, quale sarebbe la reazione della Bundesbank?
La Bundesbank non potrebbe più criticarlo, soprattutto dopo che in Germania ha affermato che bisogna aumentare i salari minimi del 3%. Se lo criticasse entrerebbe in una flagrante contraddizione con se stessa, perché la Bundesbank ha affermato chiaramente che bisogna aumentare i salari del 3% per legge perché andiamo in deflazione. Per arrivare a una mossa di questo tipo, gli stessi tedeschi devono sentirsi con l’acqua alla gola.
Per quali motivi?
Dopo avere accentuato la crisi dell’Europa del Sud, ora la Germania si trova a essere disperata perché la sua strategia si basa sull’esportazione. La Bundesbank non potrebbe fare nessuna critica a Draghi, anche se d’altra parte le mosse dell’Eurotower potranno fare molto di più di quanto è in potere della Bce.
Che cosa ne pensa del botta e risposta tra Draghi e Renzi?
Renzi ha risposto bene, perché Draghi non ha nessuna legittimazione popolare né costituzionale che gli consenta di dire ai governi ciò che devono fare. Anche dal punto di vista delle istituzioni e dei trattati europei, quello compiuto da Draghi è stato quindi un atto gravissimo.
Davvero l’Europa è la causa di tutti i mali dell’Italia?
Oggi di fronte alla crisi esistono sostanzialmente due partiti. Da un lato ci sono quelli che insistono sul fatto che la crisi è provocata soprattutto dall’euro e dall’Europa, dall’altra quanti vedono la causa nei nostri mali interni. Mi riferiscono alla lentezza della giustizia civile, alla sovrastruttura amministrativa fatiscente e all’apparato dello Stato che cade a pezzi. Draghi si colloca in un terzo settore, sostenendo che la riforma più urgente sia la liberalizzazione del mercato del lavoro.
Chi ha ragione?
La verità sta nel mezzo. Noi dobbiamo smontare queste regole europee, che sono effettivamente causa della condizione in cui ci troviamo, ma ciò nello stesso tempo ciò non deve fornirci l’alibi per rimandare le riforme. Mi riferisco non solo alla riforma del mercato del lavoro, rispetto a cui bisognerebbe creare un ordinamento intersindacale e non interstatalistico, ma soprattutto alle riforme relative a Pubblica amministrazione e giustizia.
(Pietro Vernizzi)