Negli ultimi anni gli italiani se lo sono sentiti ripetere più volte: il problema principale del Paese è rappresentato dal suo debito pubblico, che quasi sfiora il 140% del Pil. È per questo che si vogliono portare in porto le privatizzazioni e che si cerca di contenere il più possibile il deficit. Il Corriere della Sera lo ha ricordato ancora ieri con il titolo in prima pagina “La crescita ostaggio del debito”: il nostro Paese è tra i più virtuosi a livello di avanzo primario, ma questo finisce poi per ripagare gli interessi sul debito, togliendo risorse utili allo sviluppo. Tutti d’accordo, dunque: bisogna aggredire e ridurre il debito. Tutti d’accordo, o quasi. Giulio Sapelli, professore di Storia economica all’Università di Milano, la pensa infatti diversamente.



Il debito pubblico impedisce al Paese di crescere?

Io non sono affatto d’accordo con chi sostiene questa tesi. Altri economisti, molto più autorevoli di me, hanno spiegato che in un’economia aperta non c’è alcun rapporto tra assenza o presenza di crescita e andamento del debito pubblico. Ci sono diversi esempi storici di economie con bassissimo debito pubblico che sono addirittura andate in default o di altre con altissimo debito pubblico che hanno invece conosciuto periodi di crescita. È l’ordoliberalismus tedesco a teorizzare che la crescita si ha solamente in assenza di debito pubblico.



Inutile quindi ridurre il debito?

Per carità, possiamo anche farlo. Ma anche se usassimo un fondo in cui far confluire gli immobili pubblici e dessimo fondo alle privatizzazioni vendendo tutti gli asset italiani arriveremmo a mettere insieme 300-400 miliardi: una cifra ridicola.

L’Italia è il Paese con il più alto avanzo primario in Europa, superiore addirittura a quello tedesco. Eppure queste risorse finiscono per rimborsare gli interessi sul debito e non per finanziare lo sviluppo..

Guardi, non c’è nessun rapporto meccanico tra avanzo primario e spesa per interessi. La finanza pubblica è ben diversa da quella privata: l’avanzo primario serve in buona parte a pagare le spese di funzionamento dello Stato e gli interessi sul debito si pagano emettendone di nuovo, tramite quindi le aste di titoli di stato. Avremmo quindi un problema se queste andassero deserte, ma non siamo assolutamente in questa situazione. Anzi, il nostro debito continua a essere comprato perché, come alcuni economisti americani – e anche nostrani, come Vaciago e Fortis – hanno fatto notare, la ricchezza privata italiana è alta, superiore persino a quella tedesca. Il nostro debito è quindi sostenibile.



Resta il fatto che ridurre il debito è una richiesta europea, tanto che si è arrivati al Fiscal compact.

Quando l’Europa è stata costruita economicamente, gli unici che avevano una teoria economica erano i tedeschi, e ciò si è riflesso anche nello statuto della Bce. I francesi non avevano economisti di razza, gli italiani meno che mai. L’Europa è stata costruita sulla base delle idee ordoliberiste tedesche, presenti all’interno della cosiddetta economia sociale di mercato. Esse arrivano anche a sostenere che occorre inserire nella Costituzione la necessità di non avere debito e di essere favorevoli al libero mercato. Insomma, una forma di totalitarismo da libero mercato, che nessun economista classico avrebbe mai voluto. I tedeschi hanno trasferito in Europa le loro paure, nate con l’iperinflazione e superate internamente grazie ai soldi ricevuti con il Piano Marshall prima e coi fondi comunitari poi. E così sono arrivati a “dettare” alcuni articoli di molte Costituzioni europee.

 

Mi scusi professore, ma se è così evidente che questa teoria non ha fondamento economico, perché continua a essere dominante in Europa?

Perché la tecnocrazia europea è di pessimo livello intellettuale e la maggioranza delle persone viene assunta attraverso clientelismi politici. Non dobbiamo poi dimenticare che i tedeschi, in modo molto accorto grazie anche ad alleati come i finlandesi, hanno occupato i posti più importanti della tecnostruttura europea. Non è un caso che Banca mondiale e Fondo monetario internazionale non sono così ossessionati dal debito. E non è un caso che questa ideologia ha conosciuto un periodo di sviluppo con l’unificazione tedesca. In Italia la “manipolazione ideologica” è cominciata già negli anni ’90 e ci siamo cascati, in primis la sinistra, che si è fatta “abbindolare” dall’ordoliberalismo.

 

Se il problema non è il debito pubblico, allora perché l’Italia non cresce?

Non cresciamo perché non abbiamo più un’economia mista. L’Italia è cresciuta grazie a un’economia mista di due tipi. Quella fatta dall’Iri, che ha salvato il 70% del capitalismo italiano privato dopo la crisi del ‘29. E poi la possente rete di imprese pubbliche, tra cui Eni ed Enel. Ci sono poi un’eccessiva liberalizzazione e una super regolamentazione europee che hanno stroncato ogni investimento. Non cresciamo perché in tutti questi anni abbiamo seguito questa teoria ordoliberista riducendo a zero la spesa pubblica spingendo i salari verso il basso, distruggendo di fatto la domanda interna. Ci siamo piegati all’ideologia per cui bisogna solo esportare, guarda caso una cosa che sa far bene la Germania.

 

Come si fa a questo punto a far crescere la domanda interna?

Se non forza i parametri europei, l’Italia non ha alcuna speranza. Il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil non ha alcun fondamento economico, è solo una base per assicurare il dominio politico ed economico dei tedeschi. L’Italia deve dar vita a una battaglia non solo politica ma anche culturale, di pensiero, per smontare quei parametri che, come ha dimostrato il Professor Guarino, non sono scritti nei trattati, ma sono stati inseriti surrettiziamente da alti funzionari nei regolamenti europei.

 

Dovremmo sforare il 3% del deficit/Pil da soli, senza chiedere il permesso?

Mi sembra difficile poterlo fare. Bisogna lavorare diplomaticamente, politicamente, con i governi di Francia, Spagna e Portogallo. Il Partito socialista europeo deve fare una battaglia non disdegnando alleanze tattiche con la destra. Anche quella francese che non è più antisemita come un tempo. Del resto Madame Le Pen sull’Europa ha capito più di Monsieur Hollande. L’obiettivo ideale sarebbe riuscire ad abolire la Commissione europea: i suoi poteri devono passare al Parlamento europeo. Solo allora l’Europa potrà cambiare davvero.

 

Se mai l’Italia potesse sforare il tetto del 3%, come dovrebbe usare le risorse a disposizione?

Facendo una politica di investimenti pubblici governati dallo Stato. Dovrebbe creare un ente di Stato che si occupi, ad esempio, della banda larga. I privati non vogliono investire, ma non possiamo pensare di fare a meno di questa infrastruttura. L’Agenzia per l’Italia digitale dovrebbe essere trasformata in impresa pubblica senza consiglio di amministrazione, sul modello di Trust inglese con un unico responsabile. E poi andrebbero soprattutto diminuite le tasse, cercando di arrivare a un’aliquota unica del 25%: non si può pensare di fare impresa in un Paese con una pressione fiscale che arriva al 60%.

 

(Lorenzo Torrisi)