C’è attesa per il dato che l’Istat comunicherà questa mattina. Il Pil del secondo trimestre, secondo le previsioni, non segnalerà una ripresa, ma quel che più si teme è un altro arretramento dopo il -0,1% dei primi tre mesi dell’anno. Tecnicamente significherebbe il ritorno in recessione, anche se di pochi punti decimali. Se per Renzi la ripresa è un po’ come l’estate, “non è che è arrivata quando volevamo, magari non è bella come volevamo, arriva un po’ in ritardo ma arriva”, non ne è così sicuro Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università Bicocca di Milano, secondo il quale il nostro Paese ha bisogno di riforme shock per ripartire.
Professore, c’è grande attesa per questo dato sul Pil. Secondo lei, come sarà?
Difficile dirlo con precisione, ma è ormai chiaro che siamo su un livello piatto di crescita. La mia impressione è che abbiamo smesso di cadere, è finita quella che si poteva chiamare recessione; però siamo fermi, non riusciamo a ripartire. Non ci sono le normali condizioni per ritornare a crescere una volta interrotta la caduta. Un crollo che, ricordiamolo, è stato generato dalle manovre recessive del 2011.
Possiamo parlare di stagnazione?
Sì, si tratta di una pesantissima stagnazione, non ci sono apparenti condizioni per ripartire. Siamo in un circolo vizioso: la spesa pubblica non può ripartire, gli investimenti privati nemmeno se non si rialzano i consumi, i quali a loro volta attendono una crescita dei redditi, che non possono ripartire se il peso dello Stato e del fisco resta elevato. Ci vorrebbe quindi un alleggerimento fiscale consistente, che però non è possibile senza mettere a rischio i conti pubblici.
Allora non c’è via d’uscita?
A parità di condizioni non c’è via d’uscita. Dovremmo inventarci qualche riforma imponente che modifichi lo status quo, come far uscire qualche settore che produce servizi per i cittadini dal recinto della Pubblica amministrazione. Per esempio, la sanità o l’istruzione. I produttori di questi servizi pubblici verrebbero remunerati per quanto vale ciò che producono e non per quanto spendono in personale o per gli acquisti. Le faccio un esempio concreto.
Prego.
Le scuole superiori potrebbero organizzare corsi a pagamento per gli adulti, anche serali o nel fine settimana: lingue straniere, piuttosto che cultura, storia, ecc. Gli introiti servirebbero sia a pagare gli insegnanti che tengono i corsi che per la riqualificazione edilizia, alleggerendo quindi la spesa pubblica. Considerando che servono altri insegnanti, si potrebbero anche creare nuovi posti di lavoro. Qualcosa di analogo si può fare anche riguardo al grande patrimonio infrastrutturale dello Stato, quello della rete stradale che non si paga direttamente con un pedaggio.
In che modo?
Attualmente essa è finanziata con parte delle accise sui carburanti. La gestione di questa rete potrebbe passare a un ente pubblico economico esterno alla Pa, che dovrebbe sostenere i costi di manutenzione in cambio delle risorse provenienti dalle accise. Questo ente potrebbe anche emettere obbligazioni per finanziare gli investimenti stradali. Nel frattempo alleggerirebbe il settore pubblico con benefici rispetto ai parametri di Maastricht. Potremmo anche fare come in Svezia, dove un unico ente gestisce non solo la rete stradale non a pedaggio, ma anche quella ferroviaria.
L’attesa sul dato del Pil è giustificata anche dai timori che un deterioramento dei conti pubblici possa portare a una manovra aggiuntiva in autunno. Renzi ha negato questa eventualità, lei cosa ne pensa?
Comunque vadano le cose una manovra di tipo tradizionale, con un aumento delle tasse, non è proponibile. L’unica possibile è una manovra drastica di spending review, anche se mi sembra difficile da realizzare. Se sarà necessaria una manovra è bene che i settori dello Stato interessati capiscano la situazione e accettino i tagli previsti da Cottarelli.
(Lorenzo Torrisi)