La reazione degli eurogoverni a dati economici in peggioramento è molto lenta. Ciò rende la politica monetaria l’unico strumento realistico, nel breve-medio periodo, per almeno far galleggiare le euronazioni in affanno. Ma quali strumenti ha la Bce, dopo aver già preso iniziative espansive forti per dare un massimo di liquidità al sistema, per svolgere tale missione stimolativa? I recenti commenti di Schauble, ministro delle Finanze tedesco, hanno voluto affermare che la Bce non potrà fare di più. Un commento apparentemente “innocente” di Merkel – non bisogna pretendere decisioni frettolose per far bene le cose – è apparso come un sostegno a tale posizione.



Qui c’è il problema. Draghi ha fatto capire più volte che la Bce, tecnicamente, può fare molto di più, cosa che per altro il mercato sta già in parte scontando, ma la Germania si oppone. E lo fa perché tutte le azioni stimolative ulteriori implicano un forte ribasso dell’euro contro il dollaro, scenario che la politica tedesca teme in quanto implica più “inflazione importata” al cui riguardo l’elettorato tedesco ha una ipersensibilità che rasenta l’irrazionale.



Infatti, Draghi ha atteso che l’inflazione nell’Eurozona scendesse sotto l’1% – parecchie nazioni sono già in deflazione tecnica, da un mese lo è anche l’Italia anche se, depurando i dati dai costi dell’energia, l’inflazione calcolata sul resto è in leggero aumento – per poter invocare lo statuto della Bce che la obbliga a mantenerla un po’ sotto, ma vicino, al 2%. In altri termini, ha dovuto mandare più in crisi il sistema per ottenere la non-opposizione della Bundesbank ad azioni di reflazione forte. Infatti, la Bundesbank è muta, e la stampa tedesca la critica, di fronte agli annunci di Draghi di essere pronto ad azioni fortissime, di fatto svalutative. Per questo si è messo di mezzo il governo tedesco.



La partita è complicata, ma si può pensare che Draghi avrà gioco facile nel mostrare che o si fanno azioni fortissime oppure l’euro imploderà. Inoltre, potrà mostrare a Merkel che o accetta una forte svalutazione dell’euro oppure la Germania sarà pressata dalle altre euronazioni a stimolare il proprio mercato interno per trainare quello continentale, rinunciando al rigore domestico o ad accettare flessibilità negli europarametri, ambedue situazioni che porterebbero Merkel a smentire la propria politica e alla sua fine politica.

In sintesi, c’è uno spazio per superare la resistenza tedesca. Potrà la svalutazione dell’euro che favorisce l’export e gli investimenti esterni, tenere almeno in galleggiamento l’Eurozona? Certamente sì, in particolare l’Italia.

 

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