“La ripresa nella zona euro sta perdendo impulso, la crescita del Pil si è fermata nel secondo trimestre, le informazioni sulle condizioni economiche ricevute durante l’estate sono state più deboli del previsto e i rischi sono chiaramente al ribasso”. È la constatazione di Mario Draghi, presidente della Bce, prima ancora che arrivino nuovi dati preoccupanti per l’economia dell’eurozona. L’indicatore Pmi “flash” di Hsbc/Markit sulla produzione manifatturiera di settembre in Europa è calato per il nono mese consecutivo, scendendo al 49,1 in Francia, cioè sotto la soglia psicologica di 50 punti che segna lo spartiacque tra la ripresa e la recessione. Il Pmi manifatturiero della Germania scende a 50,3 punti dai 51,4 di agosto, ma resta pur sempre sopra quota 50. Nel frattempo in Italia cresce il numero di imprese fallite e di disoccupati. Ne abbiamo parlato con Luigi Campiglio, docente di Politica economica nell’Università Cattolica di Milano.



Professore, che cosa ne pensa delle parole di Draghi sulla ripresa che sta perdendo impulso?

Le parole di Draghi sono sostanzialmente corrette, in primo luogo perché a livello mondiale ci sono segni di un rallentamento. Quanto è avvenuto negli ultimi dieci anni nel corso dell’attuale crisi è che la Germania, cioè l’economia leader in Europa e nell’area euro, è diventata molto legata alle esportazioni. Un rallentamento di questo genere finisce per diventare anche un rallentamento in prima battuta della Germania, e di conseguenza di tutti i Paesi europei con cui quest’ultima ha rapporti. La valutazione di Draghi quindi ha un fondamento, e nella situazione attuale il primo Paese a cui implicitamente si rivolge è la Germania.



I dati Pmi indicano che la Germania è uno dei pochi Paesi dell’Eurozona sopra quota 50. Significa che l’euro avvantaggia solo la Germania?

Siamo ormai in una situazione in cui un raffreddore tedesco rischia di diventare una polmonite degli altri Paesi europei, e in particolare dell’area euro.

Quindi lei dice che anche la Germania non sta poi così bene?

La Germania quest’anno crescerà al di sotto delle attese. Non stupisce d’altra parte che l’indice Pmi della Germania possa essere migliore di quello degli altri Paesi. Quando gli indici tedeschi puntano al miglioramento in modo netto, certamente anche gli altri Paesi europei seguono. Questa non è però una situazione di stabilità.



La Commissione Juncker aveva promesso 300 miliardi di euro di investimenti che non sono arrivati. Secondo lei, che cosa dovrebbe fare?

Una politica di investimenti europei e nazionali è la via maestra per uscire dalla crisi. Tutti gli altri sono palliativi utili, ma se si vogliono dare risposte vere al mercato del lavoro e all’occupazione, l’unica risposta possibile sono maggiori investimenti. Questi ultimi però vanno finanziati dall’interno, a partire dalle imprese nazionali. La situazione italiana è così grave che parlare di un aumento degli investimenti in questo momento può sembrare soltanto un auspicio.

 

In che modo è possibile investire rotta?

C’è un Paese che potrebbe invertire una rotta molto pericolosa ed è la Germania. Nel corso degli ultimi dieci anni l’importanza delle esportazioni verso Paesi extra-Ue è diventato molto più elevato. La Germania è l’unico Paese che avrebbe uno spazio economicamente robusto per aumentare il reddito disponibile delle famiglie tedesche, e quindi stimolare la domanda interna e aumentare gli scambi con gli altri Paesi europei. Ciò può avvenire per esempio attraverso investimenti in infrastrutture tedesche. Anche se Berlino non è favorevole a manovre europee, se almeno facesse in questa fase manovre importanti per l’interno potrebbe produrre un beneficio per la stessa Europa.

 

Aumentare i salari e il potere di acquisto in Germania avrebbe conseguenze positive anche per l’Italia?

I tedeschi tornerebbero ad acquistare in Italia i mobili, giocattoli e vestiti che attualmente stanno comprando in Cina. La Germania è uno dei più forti partner commerciali dell’Italia. Nel frattempo purtroppo il principale partner commerciale è diventata la Cina, ma lo è diventata anche a scapito dei Paesi europei tra cui l’Italia.

 

(Pietro Vernizzi)