Oggi il consiglio dei ministri discuterà il decreto “Investment compact”. Una delle norme che si vuole approvare offre ai grandi investitori il congelamento di tutte le regole relative al fisco per l’intera durata del piano d’investimento. Attraverso un accordo con lo Stato, le imprese otterranno la garanzia di non essere sottoposte a nuove tasse. Tutto questo varrà però soltanto per i progetti pluriennali superiori ai 500 milioni di euro, anche se negli ultimi quattro anni solo due progetti internazionali hanno superato questa soglia. Ne abbiamo parlato con Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università di Parma.



Che cosa ne pensa della scelta di fissare la soglia a 500 milioni di euro?

Il fatto di fissare una soglia segnala l’intenzione del governo di identificare un problema del passato. Nessuno degli investitori, né estero, né italiano, si è dimostrato intenzionato a investire grandi somme in Italia. Il ragionamento dietro l’Investment compact è che con grandi investimenti si crea un indotto, e che questi investimenti sono bloccati dalla mutevolezza del quadro fiscale e normativo.



Nel complesso come valuta il decreto in discussione al Cdm?

In linea di principio mi sembra un’iniziativa che va a cogliere gli aspetti problematici della crescita economica italiana. Le grandi aziende che in passato avevano investito, come Fiat e Barilla, quando hanno deciso di espandersi sono andate a farlo all’estero. Quindi l’idea è quella di provare a invertire la tendenza, il modo in cui viene fatto è con strumenti vari e questo mi sembra uno tra quelli nel pacchetto. Il decreto va quindi nella direzione di fare tutto il possibile per riattivare il flusso di investimenti.

Ritiene che la soglia da 500 milioni di euro sia adeguata?



Se guardiamo con gli occhi del passato è effettivamente una soglia elevata. Nello stesso tempo però c’è l’Expo in arrivo, ed è immaginabile che il nostro Paese possa provare ad attirare investimenti più consistenti. Gli investimenti delle medie imprese in Italia ci sono già, e non è quindi necessario un particolare incoraggiamento a questo livello. Tra l’altro ritengo positivo che l’Investment compact introduca un incentivo senza dispendio di soldi pubblici, ma offrendo una garanzia di congelamento del quadro normativo.

Quali sono gli aspetti problematici legati a questo provvedimento?

Un aspetto problematico è che un’iniziativa di questo tipo rispecchia una certa sfiducia sulla possibilità di offrire qualcosa di più agli investitori internazionali, e cioè un miglioramento del quadro normativo rispetto al passato. Il problema non è solo il fatto che le leggi cambino spesso, ma anche che ci sia stata una variabilità declinata spesso in senso negativo.

 

Lei quali misure avrebbe introdotto?

Sarebbe stato meglio che il governo avesse introdotto una riforma fiscale in grado di ridurre le aliquote per la creazione dei posti di lavoro a tempo indeterminato per i prossimi cinque anni, o avesse azzerato l’Irap per chi assume. Il timore è che misure di questo tipo possano durare di meno rispetto alle attese, e che quindi il governo abbia voluto offrire una sorta di garanzia. Anche se non tutte le misure prese dal governo vanno nella stessa direzione.

 

A che cosa si riferisce?

Quest’estate è stata introdotta una proposta di legge in base a cui gli azionisti di società quotate che detengono le azioni per almeno 24 mesi hanno un diritto di voto plurimo. È un principio che viola la parità degli azionisti e che è stato introdotto in risposta alle decisioni di grandi aziende come la Fiat che hanno trasferito all’estero il loro quartiere generale. Il fatto che una misura di questo tipo sia stata introdotta dal governo, e non invece decisa indipendentemente da un’azienda, non incoraggia sicuramente l’afflusso di capitale estero. Dall’altra però l’Investment compact prova a bilanciare nuovamente il quadro, attraverso investimenti che portino capitale fresco e non facciano acquisizioni di società italiane esistenti.

 

(Pietro Vernizzi)