Quasi giornalmente incontro qualcuno che mi chiede: Tu che bazzichi nel mondo imprenditoriale, quando pensi usciremo da questa crisi”. Io cerco di rispondere in modo generico, spesso sottolineando che se ci si convince che nel futuro non ci saranno peggioramenti, ogni miglioramento, anche piccolo, ci apparirà come una grande conquista.



Ritengo infatti che uno dei maggiori errori commessi dai politicanti di tutto il mondo sia stato all’apparire della crisi, per cui sette anni fa, quando in molti si sono finti ottimisti, propinando alle persone un mucchio di frottole anziché dire la verità. Il mondo capitalista stava subendo una battuta storica da paragonare a quella del mondo comunista di fine anni Ottanta.



D’altra parte, venuta a mancare una gamba, i due sistemi non potevano più sorreggersi e alimentarsi.

Infatti, nel periodo della Guerra fredda tutto poteva funzionare: il capitalismo produceva ma non sapeva ben distribuire, i paesi comunisti sapevano distribuire ma non produrre. Il crollo dell’est Europa ha fatto cadere tutto.

Per un po’ il mondo occidentale ha pensato di aver vinto e di essere davanti ad anni di prosperità e di consumo infiniti, poi si è dovuto rendere conto che se tutto il resto del mondo non accetta di vivere a livello bassissimo è difficile trovare gli sbocchi necessari per piazzare i propri prodotti. Nel contempo è partita la globalizzazione dei mercati e molti paesi, prima definiti emergenti, hanno avuto disponibili mezzi di produzione moderni al punto di permettere loro di produrre ed esportare in concorrenza con il mondo occidentale.



Qualcuno ha sviluppato l’illusione che tutto potesse essere regolato dalla finanza in quanto capace di sopravvivere anche staccata dall’economia reale e di poter vedere nazioni prosperare nei servizi non capendo che se non si sviluppa, contemporaneamente, un’economia che possa acquisirli a chi si vendono?

L’Europa, di fronte alla sfida che, oramai, arrivava da interi continenti, ha continuato a perseguire politiche regionali anziché stringere i ranghi e dotarsi di una politica unitaria sulla base della quale sostenere la sfida con tali competitori. Aggiungiamo poi che, a livello mondiale, le nazioni in guerra tra loro, specialmente per appropriarsi di fonti energetiche, sono più numerose di quelle che si combattevano durante i conflitti mondiali.

Tutto questo provoca crisi in gran parte del mondo con ovvi sacrifici per i popoli, abbattimento dei consumi in generale e prospettive allarmanti. Sarebbe, forse, necessario un grande patto di solidarietà internazionale, ma dove sono gli statisti coraggiosi che li predispongono e li promuovono?

Andando ad analizzare, da uomo della strada, il Bel Paese, pur ammirando gli sforzi comunicativi governativi, credo che la soluzione principe debba essere ancora individuata. Forse dovremmo partire dalla nostra storia: un percorso secolare pieno di cultura. Nessuno può paragonarsi a noi nell’arte, nella musica, nella letteratura, in definitiva nello stile di vita. Tutto ciò ci ha portato a primeggiare anche in alcuni campi di derivazione, come le tecnologie connesse al manifatturiero.

Il molte situazioni collegate all’elevata tecnologia abbiamo pochi rivali proprio perché le nostre imprese, il nostro mondo imprenditoriale, hanno alle spalle il succitato bagaglio culturale che li porta a essere flessibili al punto di comprendere meglio le necessità degli utilizzatori dei nostri prodotti e di portare a essi soluzioni sempre tagliate sulle loro specifiche necessità.

Se analizziamo il settore delle macchina alla base di ogni produzione industriale, la macchina utensile, ci poniamo al terzo posto come esportatori nel mondo nonostante le nostra aziende siano molto più piccole della concorrenza tedesca e giapponese.

E allora uno spazio esiste, si tratta di svilupparlo con intelligenza sapendo individuare azioni mirate che favoriscano la possibilità, per le nostre aziende, di creare lavoro. Lo abbiamo visto nel 2014. È bastato un piccolo aiuto, più psicologico che reale, come la legge denominata Sabatini-bis, per far sì che il manifatturiero nazionale riprendesse a investire e, con ciò, a non falcidiare l’occupazione. Per cui la voglia di fare impresa c’è, va aiutata a emergere. Sono necessari investimenti di base nel mondo che più può sorreggere l’Italia e l’intera Europa: il manifatturiero.

Allora prendiamo atto che va migliorato il parco macchine da produzione nelle nostre aziende. Per far ciò è necessario un intervento nazionale, o meglio ancora europeo, perché le singole nazioni del nostro continente, tutte, e sottolineo tutte, da sole non possono fare niente che incentivi tali cambiamenti, anche collegandoli a migliore corrispondenza a normative di sicurezza e rispetto ambientale.

Tutto ciò anche nella logica che ogni maggiore impegno richiesto alle aziende, se non adeguatamente valutato e sorretto, rischia di renderle meno competitive rispetto a  produttori di paesi che non hanno normative stringenti nello stesso modo. Dobbiamo produrre lavoro, solo così arriveranno i posti altrimenti senza lavoro non c’è incentivo che convinca ad assumere.

Posti di lavoro potrebbero essere creati con una accurata attività nel campo turistico, intendendolo in senso ampio; esso non è solo mare o montagna, ma è anche tutto ciò che fa da contorno, la nostra musica, i nostri musei, le nostre opere d’arte. Esse debbono essere visitabili sempre, naturalmente a pagamento seppur contenuto e finalizzato a pagare guide che rendano interessanti le visite e tutti coloro che lavorano al fine di rendere possibile l’accesso continuo. Va promosso il nostro stile di vita anche nella logica di preparare gli stranieri ad accettare con maggiore attenzione le nostre proposte di offerta nei loro paesi.

È essenziale poi rilanciare una scuola di pensiero che faccia comprendere a tutti l’onore del proprio lavoro. Ogni attività è importante se svolta nella logica di essere il migliore a farla e se si comprende che dello stile di vita italiano devono far parte l’accoglienza, la preparazione dei luoghi, la conoscenza della loro storia, la pulizia anche nei dettagli.

La capacità di una nazione di riprendersi e svilupparsi è collegata alla capacità degli uomini che la dirigono, ma, ancor più, alla volontà del singolo di sentirsi tassello fondamentale e parte integrante di un grande progetto per il  Paese. E da qui scaturisce il compito insostituibile delle famiglie e della scuola che debbono essere aiutate nei loro basilari compiti educativi.

L’economia non è qualcosa di astratto e delegabile, ma essa si sviluppa solo se esiste la preparazione e la volontà delle persone, nessuna esclusa, a concorrere a renderla praticabile indirizzandola al bene comune.