«Occorre cautela rispetto alle prospettive di crescita dell’Italia. Un aumento dei tassi della Fed, ritenuto molto probabile, potrebbe frenare i Paesi emergenti come la Cina. L’industria italiana, che si basa soprattutto sulle esportazioni, a quel punto ne risentirebbe». È l’analisi di Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. L’Istat ha diffuso i dati sulla produzione industriale nel mese di agosto. Il dato registra un -0,5% su luglio e un +1% su agosto 2014. Per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, “l’economia italiana sta uscendo dalla crisi: i numeri sono incoraggianti sia in termini di crescita, che di occupazione, che di redditi delle famiglie. Anche se c’è ancora qualche fatica per i problemi accumulati nel tempo”.



Professore, condivide l’ottimismo del ministro Padoan?

Le affermazioni del ministro dell’Economia sono condivisibili in quanto Padoan è un esponente del governo. Nello stesso tempo va notata la giusta cautela con cui compie una valutazione delle tendenze in atto.

Alla luce della congiuntura mondiale, quali sono le prospettive di ripresa per l’Italia?



Nella migliore delle ipotesi, le prospettive sono quelle di una crescita lenta. Occorre tenere conto del fatto che eravamo caduti molto in basso. Rispetto a quanto è avvenuto negli ultimi anni, i valori assoluti della ripresa italiana sono comunque ridimensionati. Per ragioni legate alla gravità della crisi in cui eravamo sprofondati, è prevedibile che torni il segno positivo. Il punto vero però è un altro. Occorrerà vedere in quanto tempo e in quali modi noi possiamo ragionevolmente pensare di ritornare ai livelli del 2007.

Uno dei fattori di cui tenere conto è di un eventuale aumento dei tassi della Fed. Lei che cosa si aspetta?



L’aumento di mezzo punto dei tassi Usa alla fine probabilmente ci sarà. Non è chiaro quando e l’incertezza non giova. Il rialzo dei tassi non sarà certamente un aiuto per i Paesi emergenti. Su questi ultimi l’Italia conta molto, perché la domanda interna è sempre molto frenata dal ristagno dei redditi delle famiglie. L’export rimane fondamentale per la nostra industria. Le preoccupazioni sono dunque legittime.

In che modo l’aumento dei tassi Usa può condizionare l’economia dei Paesi emergenti?

La condiziona in tanti modi. In primo luogo è già in atto una ricomposizione dei flussi mondiali di capitale. Nel momento in cui il tasso d’interesse della Fed dovesse crescere anche di solo mezzo punto, l’effetto sui rendimenti dei titoli Usa diventerebbe immediatamente più interessante. Questo nonostante, o forse proprio a causa del fatto, che il tasso d’inflazione negli Stati Uniti è comunque a zero. Quindi dal punto di vista dei mercati mondiali di capitali quel mezzo punto di aumento può significare tantissimo.

In concreto che cosa cambierebbe per un Paese emergente?

Se un investitore ha dei capitali in Cina e si aspetta che il rendimento sui titoli di Stato americani aumenti, si muoverà da Shangai a New York. In secondo luogo va considerato che pur con grandi contraddizioni gli Stati Uniti sono l’unico Paese che continua a crescere. Ciò avviene in modo molto squilibrato, perché la classe media non ne trae alcun giovamento, ma la crescita Usa resta un dato di fatto. Se uno si guarda in giro ed è in cerca di un investimento in un Paese con delle prospettive potenziali, gli Stati Uniti vengono al primo posto.

 

Ad agosto la produzione di auto aumenta del 15,5% rispetto a un anno prima, ma diminuisce del 3,9% rispetto a luglio. Lei come legge questo dato?

Il comparto automobilistico in particolare pone qualche preoccupazione in più, anche se il dato tendenziale registra un aumento incoraggiante. Ma la diminuzione congiunturale di agosto, quando ancora l’effetto Volkswagen non era all’opera, fa temere che continui a esserci un segno meno anche nei prossimi mesi. Speriamo che non sia così, ma la preoccupazione è legittima.

 

Quanto conta il settore auto in quanto cartina di tornasole della salute dell’industria italiana?

Conta parecchio. Nei mesi scorsi il comparto delle auto ha avuto tassi di crescita congiunturale a due cifre. Una parte significativa della crescita globale è legata al rinnovo del parco circolante. Se ciò si interrompe, ci sarà un effetto da lato della produzione, in quanto l’Italia ha un indotto notevole legato all’industria automobilistica tedesca.

 

Con quali conseguenze?

Potrebbe esserci un effetto sull’attività produttiva, soprattutto nel Nord Italia. Basti pensare a settori come la produzione di treni e di beni strumentali. Dall’altra non è detto che ciò significhi un freno alla domanda. È probabile che l’effetto maggiore sia rappresentato da uno spostamento della domanda stessa verso auto giapponesi e francesi.

 

(Pietro Vernizzi)

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