Il Centro Studi di Confindustria stima che entro fine anno il Pil Italiano crescerà dello 0,8%, anziché dell’1% come previsto a settembre, mentre le stime per il 2016 sono state riviste al +1,4% (anziché +1,5%). Tra i problemi del nostro Paese segnalati dal CsC c’è l’evasione fiscale che “blocca lo sviluppo economico e civile”, e che si stima sia stata pari a 122,2 miliardi di euro nel 2015. Per il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, “il Paese continua in una fase di stentata crescita, migliorano la percezione e l’ottimismo di consumatori e imprese, ma lo scatto netto, bruciante, quello che lascia sul posto il passato e la crisi per agganciare una crescita stabile e robusta, quello non c’è ancora”. Ne abbiamo parlato con il professor Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison e consulente del governo.



Da che cosa dipende il rallentamento nelle stime di Confindustria?

Il Centro Studi di Confindustria si basa sui dati ufficiali e su come questi man mano si aggiornano. Nelle stime di settembre si basava sui dati del primo trimestre, e per questo si è spinto a immaginare un tasso di crescita dell’1%. Lo 0,8% coincide del resto con il dato Istat. Siccome nel dato annuale non si tiene conto della differenza dei giorni lavorativi, se quest’anno ha avuto tre giorni lavorativi in più il dato è pari allo 0,8% e non invece allo 0,7%. La stessa Confindustria non riesce a capacitarsi del fatto che ci siano dei dati così deboli, perché tutti gli altri indicatori sono più “lanciati”.



Secondo lei qual è la spiegazione?

Il dato sul Pil è condizionato per lo 0,1% dal tonfo del settore delle telecomunicazioni, su cui molti dal punto di vista metodologico incominciano ad avanzare dubbi. Questo è un modo in cui si è passati dagli sms a WhatsApp nel giro di un anno. In presenza di scenari di cambiamento di questo tipo, è difficile capire il vero stato di salute delle telecomunicazioni. In realtà prescindendo da questo settore, il resto dell’economia è cresciuto dello 0,3%. Oltre alla difficoltà a capire le tendenze, anche le statistiche faticano a catturare i fenomeni.



Nel complesso come valuta questi dati?

Per quanto riguarda il Pil, all’inizio dell’anno era previsto un +0,7%, quindi è passato al +1% per poi tornare al +0,8%. E’ pur sempre un decimale in più rispetto a quanto previsto all’inizio dell’anno.

Qual è nel frattempo la tendenza per quanto riguarda l’occupazione?

Secondo i dati Istat, nel primo trimestre 2014 si contavano 22 milioni e 200mila addetti. Nel terzo trimestre 2015 sono 22 milioni e 494mila, con una crescita pari a 294mila occupati. Il Nord segna +88mila addetti, il Centro +81mila e il Sud +126mila. Soltanto nel secondo e terzo trimestre si è creata quasi la metà della crescita dell’occupazione. Ciò significa che se prima l’occupazione in quattro trimestri era cresciuta di 150mila addetti, gli altri 144mila sono cresciuti nel secondo e terzo trimestre 2015 con il Jobs Act.

Questa crescita dell’occupazione si registra in modo uguale in tutti i settori?

No. Tra primo trimestre 2014 e terzo trimestre 2015, gli addetti delle costruzioni calano di 23mila unità. Tutti gli altri settori sono cresciuti quindi di 317mila addetti in sei trimestri.

 

Per Squinzi ciò che è mancato è “uno scatto bruciante”. E’ così?

Non credo che il Paese possa compiere uno scatto bruciante. E’ una cosa che non mi convince, e d’altra parte non mi aspetto che ciò possa avvenire. Mi aspetto quantomeno che i dati documentino una ripresa solida. Che poi questa ripresa sia dello 0,8% o dell’1,2%, non è questo a fare la differenza. Ciò che conta è che l’inversione di tendenza sia solida.

 

Secondo lei lo è abbastanza?

Continuiamo ad avere costruzioni che non crescono, e il resto dell’economia che sta crescendo di più di quanto non dicano i dati sul Pil. Anziché confidare in grandi scenari di ripresa, preferisco accontentarmi di vedere che l’economia cresce. Dopo quello che abbiamo attraversato, dall’austerità ai crac bancari, aspettarsi tassi di crescita del 2% è totalmente impensabile. Il +0,8% del 2015 significa comunque entrare nel 2016, per la prima volta dopo quattro anni, con una crescita acquisita.

 

(Pietro Vernizzi)