«In Italia stiamo assistendo a una crescita lenta trainata dal resto del mondo. Senza intervenire sulla Pubblica amministrazione non riusciremo a colmare il divario con gli altri Paesi». Lo evidenzia Nicola Rossi, docente di Analisi economica all’Università Tor Vergata di Roma ed ex deputato prima del Pd e poi del Gruppo Misto. Dagli ultimi dati Istat emerge che la disoccupazione è scesa all’11,5%, il dato più basso da tre anni. Nello stesso tempo la Confcommercio ha rivelato che questo sarà il primo Natale in sette anni segnato da un aumento dei consumi. A detta dell’Istat, “il clima di fiducia delle famiglie prefigura un andamento positivo dei consumi anche nei prossimi mesi, così come rimangono moderatamente favorevoli le attese sull’evoluzione dell’occupazione e dell’inflazione”.



Professore, la realtà dell’economia italiana è davvero così positiva come sembra da questi dati?

Stiamo assistendo a una ripresa molto lenta. L’Italia sta uscendo molto lentamente dalla crisi trainata dal resto del mondo, dall’andamento del prezzo del petrolio, da quel refolo di ripresa che si è formato anche in ambito europeo, ma che rischia di essere bloccato dalla situazione internazionale che è tutt’altro che semplice.



Il governo ha previsto che nel 2015 il Pil crescerà dello 0,9%. Questo dato sarà confermato?

Non è affatto certo che sarà confermato. La discussione sul fatto che sarà 0,8% o 0,9% è però interessante, perché tocca una questione rilevante. Se il governo negli ultimi mesi avesse evitato di suonare le fanfare, oggi non saremmo qui a commentare sorpresi il fatto che il Pil potrebbe non essere del +0,9%. Tutta questa vicenda è stata creata dal governo, che ha comunicato qualcosa che non era ancora acquisito. Capisco che la comunicazione sia importante, ma per farlo bisogna avere prima il prodotto.



Lei ritiene che i nostri problemi a livello economico non siano ancora stati risolti?

C’è una differenza che l’Italia non riesce a colmare, perché il governo non ha messo in piedi quello che ci serve per crescere a un ritmo più accelerato. Da decenni abbiamo un limite di fondo: l’operatore pubblico è straordinariamente inefficiente in tutti i suoi aspetti. Se nessuno decide di metterci mano, se non si attua una riforma della Pubblica amministrazione più seria di quella che abbiamo visto, se non si realizza una riduzione della spesa significativa, è inutile sperare che quella differenza riesca a essere colmata.

È un problema che riguarda solo l’amministrazione centrale dello Stato?

No, riguarda anche Comuni, Regioni, scuola, università, Rai e sanità. Tutto ciò che ha a che fare con il pubblico è un limite e una fonte di inefficienza. È evidente che in ciascuno di questi campi ci sono delle eccellenze. Ma il fatto che parliamo di eccellenze non è altro che l’espressione del fatto che la media non è adeguata.

Intervenire sulla Pa significherebbe anche perdere il consenso di tutti coloro che ci lavorano?

È possibile ma non è detto. Ci sono casi in giro per il mondo in cui si è intervenuti seriamente sulla spesa pubblica e sul funzionamento della Pubblica amministrazione, eppure i governi sono stati rieletti. Non c’è nulla di scontato, ma certo ci vogliono molto coraggio e determinazione politica. E soprattutto non si tratta solo di fare funzionare meglio l’esistente: spesso e volentieri bisogna smettere di fare alcune cose. Per esempio, le politiche attive per il lavoro, che oggi sono gestite in buona parte dal settore pubblico, sono visibilmente inefficaci.

 

Questa operazione è realizzabile senza lasciare a casa dei dipendenti pubblici?

È evidente che senza lasciare a casa dei dipendenti pubblici questa operazione non è realizzabile. Del resto negli ultimi 20 anni abbiamo attuato enormi processi di ristrutturazione nel campo del credito, dove decine di migliaia di persone hanno perso il lavoro, e lo stesso è accaduto nella siderurgia. Abbiamo costruito degli ammortizzatori sociali, facendo in modo che il processo fosse socialmente accettabile. Non capisco perché questo non possa accadere anche nella Pubblica amministrazione.

 

(Pietro Vernizzi)