In Europa circolano oggi circa 1.500 miliardi di titoli del debito con un rendimento negativo. La cifra sale, a livello globale, se aggiungiamo una fetta rilevante del debito giapponese e del debito svizzero. È un aspetto curioso, forse imprevisto, senz’altro inedito della finanza di oggi che implica cambiamenti semplicemente impensabili solo pochi anni fa. Anzi, mesi. Come ha confessato Maria Cannata, responsabile del debito pubblico per il ministero dell’Economia: l’eventualità che le aste di Bot e Btp possano chiudersi a tassi negativi (il prezzo di rimborso, cioè, più basso di quello di sottoscrizione) ha imposto alle autorità di riscrivere le modalità dell’asta. Ma non tutti i problemi sono già risolti. Che fare dei Cct, i titoli a tasso variabile legati all’andamento dei Bot a sei mesi? Con le regole attuali, il risparmiatore rischia non solo di vedersi tagliare il rendimento ma addirittura di dover risarcire il Tesoro per il “parcheggio” dei capitali. “Se dovessero andare oltre un certo livello – ha riconosciuto Cannata – non sapremmo come fare, stiamo studiando il problema”. Non da soli, perché il problema riguarda mezza Europa a partire dal Belgio, il primo in ordine di tempo a dover trovare una risposta adeguata ed equa. 



Insomma, la benedizione del calo del costo del denaro ha le sue vittime: “Non sono mai stata così sommersa di lavoro come in queste ultime settimane”, ha concluso sorridendo la bravissima manager del debito pubblico parlando al recente convegno romano dell’Aiaf, l’associazione italiana degli analisti e dei consulenti finanziari. Meglio aver problemi del genere rispetto alla situazione del 2011 quando, per la delizia dei risparmiatori, il Tesoro dovette offrire cedole superiori al 7% in occasione del primo Btp Italia. Eppure questa situazione anomala presenta non pochi inconvenienti. Vediamo perché.



Partiamo da un’osservazione. Nel corso degli anni della grande crisi, tra il 2007 e il 2014, al contrario di quel che comunemente si crede, il tasso medio di crescita dell’economia globale è stato sostanzialmente in linea con i valori degli anni tra il 1982 e l’inizio del nuovo Millennio. Quel che è cresciuto in maniera esponenziale è l’importo del denaro stampato dalle banche centrali: poco più di 12mila miliardi di dollari, tra Fed, Boe, Bank of Japan e Banca centrale europea. Il mondo, dunque, ha scongiurato la recessione e la depressione grazie alla crescita esponenziale del debito, sia pubblico che privato, che non si è ancora fermato, come conferma un recente documento redatto da un autorevole team di economisti dal titolo significativo: “Deleveraging? What’s deleveraging?”.



Non è la prima volta che il mondo si trova a fronteggiare un indebitamento abnorme, all’apparenza inestinguibile. Alla fine della Seconda guerra mondiale il fenomeno in Occidente venne affrontato e risolto grazie alla financial repression, ovvero la compressione dei tassi di interesse per favorire gli investimenti e la ripresa dell’economia. L’operazione ebbe successo perché accompagnata dall’esplosione della domanda e dagli ampi margini accumulati dalle aziende, affamate di capitali per nuovi investimenti.

Non è, ahimè, la situazione attuale. In Italia, ma non solo, manca l’ingrediente essenziale per la crescita: la fiducia. Negli ultimi tempi, poi, l’ampio apprezzamento per il Qe di Mario Draghi si accompagna a una domanda inquietante: le banche centrali, dopo aver inondato i mercati di quattrini a basso rendimento, sapranno drenare la liquidità in eccesso? Oppure ci si deve attrezzare per un new normal, caratterizzato da liquidità abbondante che ristagna nei mercati, provocando bolle a catena senza alimentare il tessuto produttivo? 

È una prospettiva molto pericolosa, sottolinea il Nobel Robert Shiller, dalle conseguenze sociali e politiche molto gravi: accelera la decadenza della classe media a esclusivo vantaggio dell’1% più ricco della popolazione, cui vanno i vantaggi procurati dalle bolle finanziarie. Per non parlare del reddito dei pensionati, il vecchio Bot people che oggi rinuncia a piccole, preziose rendite. 

“L’economia moderna è cresciuta sulla base del principio della remunerazione del capitale – spiega Claudio Borio, responsabile del dipartimento economico della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea – I tassi di interesse negativi sono una novità assoluta: nel caso l’esperienza duri ancora per un tempo significativo, le conseguenze saranno rilevanti”. Lo sospettano anche le banche centrali, come lascia intuire la prudenza, anzi la “pazienza” con cui la Fed continua a rinviare il rialzo dei tassi nonostante i numeri lo renda quasi inevitabile: troppa è la paura di far saltare un sistema dagli equilibri precari, in cui, tra l’altro, lo sviluppo delle tecnologie tende a complicare la creazione di posti di lavoro a reddito medio, spaccando il mondo in due: una piccola minoranza altamente qualificata, una massa fungibile, con una forza contrattuale sempre più modesta. 

Al di là della legittima soddisfazione per i fattori positivi che si accumulano sul cielo delle economie, Italia in testa, occorre tener insomma presente che la battaglia per uscire dalla crisi sarà ancora lunga e difficile. Il Bel Paese sta ricevendo preziosi regali (euro debole, tassi e petrolio in calo) che non dureranno in eterno. Per di più, i benefici (tra il 2,5% e il 2,8% in più nel prossimo biennio) non si tradurranno in altrettanta crescita, visti i ritardi e le mancate riforme. Anzi, il distacco tra Italia e Germania rischia di crescere anche negli anni più favorevoli. E poi, come nota il chief economist di Nomisma Sergio De Nardis, “non ci sarà da stare allegri se le aspettative di inflazione dei consumatori e imprese rimangono in territorio negativo spingendo così a un’ulteriore dilazione delle spese e quindi a un’accentuata propensione al risparmio e a freno degli investimenti”. 

Certo, dai dati sulla fiducia emerge il balzo in avanti dell’indice delle famiglie (+4 punti) trainato dalle attese sulla futura situazione economica del Paese (+10 punti). “Ma queste attese generali sono importanti ma possono non rispecchiare l’effettiva situazione. Non è un caso infatti che le famiglie quando sono chiamate a valutare la propria situazione personale il miglioramento è molto meno consistente (+1 punto)”. La fiducia, da cui dipendono i consumi, è ancora merce rara.

Di qui la necessità di non sprecare tempo nell’attesa di capire perché il denaro a basso costo, lungi dallo stimolare gli animal spirits degli investitori, tende a favorire il calo dei prezzi e dei rendimenti. Con effetti paradossali: la Bundesbank, che ha tanto insistito per non mutualizzare gli acquisti del Qe, si ritroverà a comprare titoli tedeschi, che sono già in gran parte a rendimento negativo e lo diventeranno presto ancora di più: piuttosto che investire in casa o fuori, i fautori dell’austerità preferiscono mandare in fumo le proprie riserve.