Il conto alla rovescia è cominciato: giovedì 5 marzo la Banca centrale europea inizierà ufficialmente gli acquisti di titoli nell’ambito del programma di Quantitative easing. Già oggi, intanto, le banche dell’Eurozona potranno prenotare i prestiti presso l’istituto di Francoforte, nell’ambito della terza operazione Tltro. I titoli di Stato della cosiddetta “periferia” europea nel frattempo si adeguano in anticipo al nuovo scenario operativo: i Bot a sei mesi, martedì, sono stati assegnati allo 0,09%, il che, detratte le tasse e le commissioni pagate all’atto dell’acquisto, comporta un rendimento negativo: ovvero, chi ha scelto questa forma di investimento si è adattato a pagare un ticket di parcheggio per il proprio denaro affidato alla banca o ad altro intermediario. Il fenomeno “dell’eutanasia del rentier”, descritto da John Maynard Keynes in odio all’aristocrazia del denaro che poteva permettersi di vivere di vendita, è ormai realtà.
Già oggi si presta il denaro a tasso negativo in Finlandia, mentre la Svezia ha adottato il tasso di sconto negativo. La Danimarca, per evitare la corsa agli acquisti dei gestori internazionali alla ricerca di “porti sicuri”, ha deciso di non procedere a nuove emissioni di debito a tempo indeterminato. Non meno drastica, si sa, è stata l’iniziativa della Banca nazionale svizzera che pratica un tasso negativo sui depositi.
All’asta dei titoli decennali italiani, intanto, è stato infranto all’ingiù il muro dell’1,40%, a quota 1,36%. Non è più fantascienza, a questo punto, pronosticare la discesa del tasso dei titoli decennali italiani all’1,10-1,15%. Prima, probabilmente, sarà ridotta sotto 100 punti base la forbice tra Btp e Bund.
L’opinione pubblica approva, come dimostra la ripresa dell’indice della fiducia dei consumatori e delle imprese, rinvigorito proprio dalle attese del Quantitative easing. In realtà, come ci avverte il calo delle esportazioni extra Ue a gennaio, l’attuale situazione presenta i suoi rischi: se tutti i paesi, con l’eccezione degli Usa, puntano all’arma della svalutazione competitiva, l’effetto viene annullato.
In questo caso, il trend accomuna ormai tutti i paesi. L’ufficio studi di JP Morgan ha calcolato che su 33 banche centrali monitorate, ben 18 hanno adottato negli ultimi sei mesi politiche di accomodamento monetario: Quantitative easing, ma anche interventi sul cambio o altre operazioni di fiscal policy espansive. Un trend comprensibile: a differenza di quel che si può credere, negli anni della grande crisi il mondo non ha rallentato, a livello globale, la crescita rispetto ad altre stagioni ritenute fortunate (gli anni Ottanta, ad esempio). Ma il trend è stato reso possibile da un aumento geometrico del debito che, nonostante le politiche di austerità, è cresciuto un po’ ovunque.
Un grosso problema cui si può ovviare in due modi: riforme in grado di aumentare la produttività delle economie riattivando un ciclo di accumulazione, in frenata nelle economie più avanzate; oppure la monetizzazione del debito, spalmato attraverso la leva della finanza. Buona la seconda, rispondono in coro i governi e le autorità monetarie. Meglio più poveri, causa le svalutazioni, ma vivi piuttosto che moribondi (o morti) ma con i conti a posto.
Ma chi ci guadagnerà con il Qe? Senz’altro lo Stato italiano, grande debitore per antonomasia. Ma con due avvertenze: all’inizio del secondo millennio, l’Italia ha sprecato l’occasione di rimettere in ordine i propri conti sfruttando il calo del costo del denaro collegato alla nascita dell’euro. Invece di utilizzare la stagione positiva in maniera virtuosa, si è aumentata a dismisura la spesa corrente. Oggi si ripresenta un’altra congiuntura positiva grazie a fattori esterni, guai a non cogliere l’occasione. Anche perché, secondo elemento su cui riflettere, più che i numeri assoluti contano i distacchi con i competitors. Non possiamo accontentarci di uno stentato 0,8-1% di crescita se nel frattempo la Germania farà +3%. In quel caso, il distacco aumenterà.
Il Qe porterà, anzi sta già portando, un grosso beneficio al bilancio delle imprese, specie le maggiori che possono attingere direttamente al mercato dei capitali senza transitare per le banche. Ma per sfruttare la congiuntura non basta abbassare il livello dei debiti. Occorre saper cosa fare dei quattrini. È necessario, insomma, che le aziende tornino a investire in progetti profittevoli.
Per quanto riguarda le famiglie, a guadagnarci, in un primo momento, non potrà che essere l’1% più ricco della popolazione, che negli Usa ha approfittato alla grande del forte recupero dei mercati azionari Usa (triplicati dai minimi del 2009) e si accinge a fare il bis in Europa e non solo. È di questi giorni la notizia che il fondo pensione giapponese dei dipendenti pubblici ha deciso di modificare il mix del proprio portafoglio: la componente azionaria salirà dall’8% al 25% con l’obiettivo di sostenere i rendimenti necessari per pagare le pensioni, accettando l’inevitabile aumento del rischio. In Italia festeggia il popolo della voluntary disclosure che rientra nella legalità da Svizzera e Liechtenstein senza pagare alcun prezzo, vista la rivalutazione del franco svizzero. Ma diamo il benvenuto a questi capitali necessari per ripartire. Anche perché i super ricchi hanno ancora un’arma potente: certo, non potranno più far emigrare clandestinamente i capitali, ma nulla vieta loro di prender residenza in Svizzera o in altri Paesi ameni.